Strappo la carta da parati, mi sfogo a grattare via con
unghie di lamina gli strati di una vita, gli strati dei ricordi. Tiro via i
pezzi e osservo sulle pareti le immagini astratte che lasciano. Vedo il profilo
di una ragazza coi capelli raccolti in uno chignon e la lascio lì a riflettere sul tempo che passa.
Ci sono giorni che non riesco più a grattare, mi siedo sul
letto, osservo i muri scrostati e interrogo lei. “Ti senti sola?” le chiedo. “A
volte” mi dice. “A volte quando?”. Il silenzio lo puoi sentire che rimbalza
sulle pareti ancora umide, ti sfiora la pelle, fa drizzare i peli. “A volte ho
paura che certe cose non torneranno più, mi faccio prendere da tardive crisi
adolescenziali, ma non è questo, questo non mi fa sentire sola, è semplicemente
malinconico”. “E allora quando è che ti senti sola?”.”Quando realizzo che
nessuno mi ama, quando sto male e non c’è nessuno che mi stringe…”. “E’ questo
che ti fa sentire sola?”. “No quello che mi fa sentire sola è che non sono più
in grado di dirlo”, “Di dire cosa?” le chiedo, “che ho bisogno di qualcuno che
si prenda cura di me”.
Appoggio le mani sulle ginocchia e fisso la ragazza. Mi
chiedo se sono così anche io. Statica come lei, intrappolata dalla paura di
strappare tutti gli strati e di ritrovarmi nuda come questa parete. Spogliata
dell’involucro, sono attraente come quando vesto tutti i veli di precauzione?
Se di carta da parati se ne mettono fogli su fogli certo le crepe esistenti le
si nascondono, ma che dire di quelle nuove? Le pareti sono in continuo
assestamento, è un periodo di “crisi” sismiche e lì sotto, sui muri una volta
lisci e color porcellana, si fanno largo delle piccole venature silenziose che
ti si manifestano solo se ti prendi lo sbattimento di scrostare, di raschiare e
di grattare.
Sono uscita per guardare in faccia la domenica, mi sono
rivestita di strati per non essere vulnerabile al freddo. Ero in via Sant’Isaia
che puntavo il giornalaio quando
davanti a me un bimbo che avrà avuto quattro anni e teneva stretto il dito del
suo papà gli dice: “No papà, non voglio andare al parco oggi perché sono
ferito”. Il padre continuando a camminare gli ha risposto: “E allora al parco
non ci andiamo. Stiamo a casa io e te e curiamo la tua ferita”.
Ho pensato alla ragazza coi capelli raccolti e alla sua
solitudine figlia dell’incapacità di chiedere le cure a qualcuno quando si
sente ferita. I bambini sono così semplici ed essenziali nel vedere e sentire
il mondo. Non hanno bisogno di strati, nessuno si stupisce se loro si
feriscono, se chiedono aiuto.
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