lunedì 26 novembre 2012

carta da parati


Strappo la carta da parati, mi sfogo a grattare via con unghie di lamina gli strati di una vita, gli strati dei ricordi. Tiro via i pezzi e osservo sulle pareti le immagini astratte che lasciano. Vedo il profilo di una ragazza coi capelli raccolti in uno chignon  e la lascio lì a riflettere sul tempo che passa.
Ci sono giorni che non riesco più a grattare, mi siedo sul letto, osservo i muri scrostati e interrogo lei. “Ti senti sola?” le chiedo. “A volte” mi dice. “A volte quando?”. Il silenzio lo puoi sentire che rimbalza sulle pareti ancora umide, ti sfiora la pelle, fa drizzare i peli. “A volte ho paura che certe cose non torneranno più, mi faccio prendere da tardive crisi adolescenziali, ma non è questo, questo non mi fa sentire sola, è semplicemente malinconico”. “E allora quando è che ti senti sola?”.”Quando realizzo che nessuno mi ama, quando sto male e non c’è nessuno che mi stringe…”. “E’ questo che ti fa sentire sola?”. “No quello che mi fa sentire sola è che non sono più in grado di dirlo”, “Di dire cosa?” le chiedo, “che ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me”.
Appoggio le mani sulle ginocchia e fisso la ragazza. Mi chiedo se sono così anche io. Statica come lei, intrappolata dalla paura di strappare tutti gli strati e di ritrovarmi nuda come questa parete. Spogliata dell’involucro, sono attraente come quando vesto tutti i veli di precauzione? Se di carta da parati se ne mettono fogli su fogli certo le crepe esistenti le si nascondono, ma che dire di quelle nuove? Le pareti sono in continuo assestamento, è un periodo di “crisi” sismiche e lì sotto, sui muri una volta lisci e color porcellana, si fanno largo delle piccole venature silenziose che ti si manifestano solo se ti prendi lo sbattimento di scrostare, di raschiare e di grattare.
Sono uscita per guardare in faccia la domenica, mi sono rivestita di strati per non essere vulnerabile al freddo. Ero in via Sant’Isaia che puntavo il giornalaio  quando davanti a me un bimbo che avrà avuto quattro anni e teneva stretto il dito del suo papà gli dice: “No papà, non voglio andare al parco oggi perché sono ferito”. Il padre continuando a camminare gli ha risposto: “E allora al parco non ci andiamo. Stiamo a casa io e te e curiamo la tua ferita”.
Ho pensato alla ragazza coi capelli raccolti e alla sua solitudine figlia dell’incapacità di chiedere le cure a qualcuno quando si sente ferita. I bambini sono così semplici ed essenziali nel vedere e sentire il mondo. Non hanno bisogno di strati, nessuno si stupisce se loro si feriscono, se chiedono aiuto. 

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