venerdì 27 aprile 2012

Volando voy

Sono in un internet point dell'areoporto di Bogota', qui sono le sei e venti del mattino ed e' stata l'ennesima alzataccia. Bogota' l'ho solo sfiorata, ma mi e' bastata una sera per innamorami della Candelaria, carrera uno. Come dice Giorgio: dove tutta Bogota' e' iniziata.
I ragazzi si riversano nelle stradine sporche, s'incontrano, si siedono, parlano. I muri raccontano di una parte di citta' in lotta, viva, attiva. La musica e' un po' dovunque, sbuca da vecchie case coloniali che celano minuscole corti interne rigogliose di piante.
Giorgio e' un fiume in piena ed e' quello che speravo. Le ore vuote del viaggio, dove stai li' a fissare il sedile o tutt' a piu' lo schermo, ti aprono a cento dubbi su cio' che stai per vivere, ti mettono davanti al fatto che parti con la bocca non perfettamente asciutta: se passi la punta della lingua sul palato senti una punta di amaro. Se lasci andare liberi i pensieri puoi sentire forte e chiaro il rumore di quando vanno a sbattere contro l'esistenza/desiderio di piccoli sentimenti che ti danno leggerezza.
Ora scappo. Inizia l'avventura, quella vera.

martedì 24 aprile 2012

ironia...


Tutti credono che a Bologna non si perde neanche un bambino.

Uno s'immagina chissà quali cose, eppure passa che neppure uno shot di tequila.
Non trovo nessuno: black out.
Insicurezza: "dove sono tutti?""Perchè non rispondono al telefono?""Chi chiamo?".
Risultato: 800 chiamate effettuate,  nessuna risposta.
Rinascita: posso divertirmi da sola.
Lo faccio nell'unica maniera che conosco. Ballando. E lì, tutto passa, come il copione di un film, di quelli che "si amano tutti e poi alla fine ci si vuole un gran bene".
Non mi faccio mancare nulla:
Finta lesbica, barra frigida, che fà ingelosire il ragazzo che mi scrocca le paglie, e oddiomio, "pancrazio mi ha baciato veramente; questa è culattona sul serio". I punti esclamativi si sprecano.Fatto.
Trovarti da sola, al link, alle 6 della mattina. Sfoderare il sorrisone mentre dribli il guardrail e trovi la coppia dei "perbenisti": due tizi del salento (che inizia ad essere un marchio registrato), che ti portano in centro mentre tu gli racconti di FARC, ipotermia e chi ne ha più ne metta. Fatto.
Scendere in via Irnerio, salutare gli omini arancioni della pulizia strade che hanno sempre voglia di fare due chiacchere. Fatto.
Gioire mentre la luce ti sbatte in faccia e attraversi una piazza grande deserta, dove i bordi, lassù in alto, sono fatti di un sole cangiante e ridono davanti a quei coglioni maculati, che dal basso del loro rinforzato, sprecano paglie per girare in cerchio come leoni in gabbia. Che poi leoni....Fatto.
Uno sguardo negato a quei soldatini.  Giusto perchè loro non guardano: sono programmati per essere dei flussi. Fatto.
Solidarietà tra me e il ragazzo nord africano che tira sù la merda di noi della bolognabbbene.Fatto.

Rincorro il marciapiede e mi trovo tra le foglie, i petali di rusticano rosso e l'alba.
Credo di essere bella,
per un'istante tutto è come in un quadro di Monet coi soggetti di Manet: sono tutti balordi, trovati un pò lì per caso, con le loro idee, la loro follia.
Normali, mentre chiedono un accendino per una sigaretta o commentano il primo giornale. Semplici, belli.
Vado a letto con i castagni che ridono, hanno finalmente trovato la pace dopo una settimana di turbolenze; forse anche io, zitta zitta, taccia taccia, ho capito come si fà.
Adoro Bologna. Non potrebbe essere stata serata migliore.



domenica 22 aprile 2012

ogni maledetta domenica

Ogni maledetta domenica noi popolo di disadattati etilici ci svegliamo con l'enigma con la "E":come faccio passare questa domenica in maniera rapida ed indolore, senza accorgermi che è domenica, senza lasciare che la depressione post sbronza prenda il sopravvento? Stamattina per la prima volta mi sono svegliata con il pensiero opposto: "Come faccio a non farla passare? A moltiplicare le ore per far sì che io abbia il tempo per tutto e tutti?".
Le ore mi stanno scivolando tra le dita ed ho persino dimenticato di piangere. Lo faccio ora in maniera furtiva in una casa che non è mia, sfuggendo ad occhi indiscreti. Lascio cadere le lacrime che parlano delle mie paure, di quel qualcosa che ti si spezza un pò dentro ogni volta che lasci  il tuo mondo per affrontarne uno ignoto. Penso a white, che mi perdona sempre e che ho il terrore mi dimentichi, penso a mia madre, che più forte di quello che credo ma sò perfettamente che sta soffrendo. Crollo, silenziosa e composta come sempre.
Fortuna che è domenica e chi si ferma è perduto. Fortuna che c'è la festa della zuppa, che è liquida, e si confonde con le lacrime.

mercoledì 18 aprile 2012

Manca esattamente una settimana alla mia partenza e tutte le domande, i pensieri, le preoccupazioni, rimangono fuori dall'uscio della testa. Appiccicano il naso al vetro degli occhi come quel tizio della pubblicità del Ciobar.
I miei sensi li conosco bene ormai, attendono di sentirlo l'odore della Colombia prima di poterlo analizzare, non si fidano di ciò che non vedono, non carpiscono i racconti dei sensi altrui. Li lasciano scivolare addosso.
Scrivo ora ciò che avrei voluto scrivere poco prima della partenza perché saranno giorni intensi, vissuti di corsa e tutti d'un fiato per rubare a Bologna ancora qualche sorriso, qualche spritz (più di qualche conoscendomi), e temo non avrò il tempo di dire addio come vorrei.
La mia psicologa alcune sedute fa mi ha detto che affrontare una partenza è un pò come affrontare la morte, "partire è un pò come morire", io mi sono toccata le palle visto quello che sto andando a fare, ma ho colto il messaggio.
E' vero, la partenza è un addio, una parte di te viene scalfita e modificata per sempre e a volte questo spaventa, mi spaventa. Ma non sarei quella che sono se non fossi già "morta"altre volte e così come sento una parte di me che in questo istante cammina per le strade fangose di Kayole a Nairobi, spero di lasciare un pò di me anche là, in quella terra della quale non ho ancora visto il colore, nè sentito l'odore.
Scrivo questo per quelle persone che mi guardano e non trovano un senso in ciò che sto per fare, che hanno paura che mi possa accadere qualcosa. Scrivo per loro e gli chiedo di lasciarmi andare, senza paure, perché vado a fare ciò che amo. A volte non capiamo perché una persona che conosciamo ami tanto qualcosa o qualcuno. Ma l'amore non va capito, l'amore va osservato e tutt'al più condiviso.
Una volta in una coda autostradale ho conosciuto Giovanni, 33 anni, camionista. Mi ha raccontato che una volta ha smesso di guidare per due anni e si è aperto un bar. E' caduto in depressione e si è rimesso al volante. Io ho sempre guardato i camionisti per strada e pensato: che vita di merda che ha sta gente, non avevo osservato bene, non avevo condiviso nulla finché non ho parlato con lui. Ecco sarà retorica, ma la vita è troppo breve per rinunciare a ciò che ci fa sentire vivi e soprattutto troppo bella nelle sue sfaccettature per poter essere passata a giudicare le scelte degli altri senza fare lo sforzo di capire.
Per questo parto, e se mi tagliassero a pezzetti so che il vento li raccoglierebbe, li riporterebbe qui dove vive chi amo ed io continuerei a vivere nelle storie di una vita passata assieme, di un viaggio raccontato.

Chiudo dicendo grazie a chi lascio indietro,
a chi in questo ultimo anno mi ha fatto sentire parte di qualcosa,
a chi, una volta saputo della mia partenza, mi ha detto"vai",
a chi ha pensato di regalarmi uno spazzolino elettrico,
a chi mi ha cucinato sushi prima che partissi,
a chi mi ha tenuto la mano e baciato sotto i portici di notte,
ai bimbi della mia vita,
a chi mi ha deluso e reso più forte.
Grazie.