Manca esattamente una settimana alla mia partenza e tutte le domande, i pensieri, le preoccupazioni, rimangono fuori dall'uscio della testa. Appiccicano il naso al vetro degli occhi come quel tizio della pubblicità del Ciobar.
I miei sensi li conosco bene ormai, attendono di sentirlo l'odore della Colombia prima di poterlo analizzare, non si fidano di ciò che non vedono, non carpiscono i racconti dei sensi altrui. Li lasciano scivolare addosso.
Scrivo ora ciò che avrei voluto scrivere poco prima della partenza perché saranno giorni intensi, vissuti di corsa e tutti d'un fiato per rubare a Bologna ancora qualche sorriso, qualche spritz (più di qualche conoscendomi), e temo non avrò il tempo di dire addio come vorrei.
La mia psicologa alcune sedute fa mi ha detto che affrontare una partenza è un pò come affrontare la morte, "partire è un pò come morire", io mi sono toccata le palle visto quello che sto andando a fare, ma ho colto il messaggio.
E' vero, la partenza è un addio, una parte di te viene scalfita e modificata per sempre e a volte questo spaventa, mi spaventa. Ma non sarei quella che sono se non fossi già "morta"altre volte e così come sento una parte di me che in questo istante cammina per le strade fangose di Kayole a Nairobi, spero di lasciare un pò di me anche là, in quella terra della quale non ho ancora visto il colore, nè sentito l'odore.
Scrivo questo per quelle persone che mi guardano e non trovano un senso in ciò che sto per fare, che hanno paura che mi possa accadere qualcosa. Scrivo per loro e gli chiedo di lasciarmi andare, senza paure, perché vado a fare ciò che amo. A volte non capiamo perché una persona che conosciamo ami tanto qualcosa o qualcuno. Ma l'amore non va capito, l'amore va osservato e tutt'al più condiviso.
Una volta in una coda autostradale ho conosciuto Giovanni, 33 anni, camionista. Mi ha raccontato che una volta ha smesso di guidare per due anni e si è aperto un bar. E' caduto in depressione e si è rimesso al volante. Io ho sempre guardato i camionisti per strada e pensato: che vita di merda che ha sta gente, non avevo osservato bene, non avevo condiviso nulla finché non ho parlato con lui. Ecco sarà retorica, ma la vita è troppo breve per rinunciare a ciò che ci fa sentire vivi e soprattutto troppo bella nelle sue sfaccettature per poter essere passata a giudicare le scelte degli altri senza fare lo sforzo di capire.
Per questo parto, e se mi tagliassero a pezzetti so che il vento li raccoglierebbe, li riporterebbe qui dove vive chi amo ed io continuerei a vivere nelle storie di una vita passata assieme, di un viaggio raccontato.
Chiudo dicendo grazie a chi lascio indietro,
a chi in questo ultimo anno mi ha fatto sentire parte di qualcosa,
a chi, una volta saputo della mia partenza, mi ha detto"vai",
a chi ha pensato di regalarmi uno spazzolino elettrico,
a chi mi ha cucinato sushi prima che partissi,
a chi mi ha tenuto la mano e baciato sotto i portici di notte,
ai bimbi della mia vita,
a chi mi ha deluso e reso più forte.
Grazie.
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