Questo viaggio sta continuando con una rapidita´che mi terrorizza. A volte cerco di spegnere il faro del signor futuro che come un tarlo inizia a forarmi la coscienza in cerca di risposte. Ci sono luoghi come Saõ Luis dove farlo e´semplice, una piccola Barcelona sull´Atlantico che ogni sera offre uno spettacolo diverso e dove la gente la si conosce con una facilità imbarazzante. E' in citta´come queste che capita che conosci i tuoi futuri compagni di viaggio in un ostello, come le due ragazze che mi hanno seguito fino alla riserva naturale, oppure che i musicisti reggae ti fermino per strada per proporti di andare a questo piuttosto che quel concerto il giorno successivo. Tutto scorre; tutto, volendo, ti dà modo di non pensare.
Poi pero´arriva il momento della despedida e le cose, si sà, hanno il loro perche´. Percio´ti ritrovi in uno di quei posti che l´uomo non ha ancora plasmato seconodo le sue necessità eccessive. Dove non esiste asfalto ma solo sabbia, palme e stelle. In questi posti il faro si accende con un bagliore quasi acciecante, e sempre in questi posti ti può capitare di ritrovarti a camminare per tre ore sulla riva di una spiaggia deserta. A pensare ad ogni affondare dei piedi nella sabbia fangosa che cosa vuoi essere.
Sei sola, attorno a te non c'è nessuno, né compagni di viaggio, né turisti, né locali: solo tu e l'ombra che precede chi cammina la mattina verso nord ovest. In quei momenti puoi dirti che vorresti solo poter continuare a viaggiare e a scrivere; puoi ammettere a te stessa che credi di non farcela perché in fondo non sei così brava. Mentre l'acqua si alza e ti appoggi la borsa sulla testa per passare tra le mangrovie pensi che non vorresti sentirti in colpa per questo, per non essere dentro gli schemi, per avere quasi 27 anni e non sapere cosa voler fare da grande, perche´non hai fatto ingegneria, non hai fatto medicina, non hai scelto perché sentivi la pressione di doverlo fare.
Le mangrovie si diradano e ti ritrovi in un sentiero tra l'erba arida, davanti a te si aprono delle colline di sabbia e ti accorgi che nel mentre pensavi, tu sola, sei comunque arrivata al deserto. Al cuore di quel parco, senza una mappa, solo andando dove le gambe ti portavano.
Continuo ad ignorare quello che la natura mi sta dicendo."Vorrei avere le palle", mi dico mentre mi avvicino alla sabbia bianchissima che crea le dune, vorrei avere le palle per fare come ha fatto Marco, che in questo posto ha aperto un a Pousada e una scuola di kite. Vorrei avere le palle per riuscire a fare quello che voglio fare, sbattendomene del fatto che per soppravvivere forse dovrò servire ai tavoli.
Cammino ed i piedi non affondano nei granelli di sabbia come mi sarei aspettata, le dune sono solide, forti più della spiaggia che mi ci ha portato. Arrivo in cima e mi siedo, ma una volta che appoggio il sedere mi rendo conto che la sabbia che arriva negli occhi mi costringe a strizzarli e a ridurre la visuale del paradiso che ho davanti.
"Non ha senso fare tutta questa strada per poi sedersi", ero in cima ad una duna nel deserto che si affaccia sull´Atlantico. Cosi mi sono alzata, ho aperto le braccia, ho dato le spalle al vento ed ho iniziato a guardare. E più guardavo e più sentivo viva. La testa era vuota, non c'erano voci che comandavano pensieri, non mi vedevo da fuori: ero libera.
Forse il mio essere "nomade", come dice la mia psicologa, è anche un tentativo costante di sfuggire agli schemi sociali, alle loro etichettature. Sono tante le cose che vorrei fare nella mia vita, e forse alcune riuscirei a farle anche bene, so che sarei una buona mamma, so che sarei una buona coordinatrice di progetto, so che so amare con tutta me stessa, so che l'incomunicabilità del dolore che mi provocano certe cose mi fa scrivere di pugno e arrivare a chi mi circonda. Ma non ho lo slancio per dare a queste cose una sequenza. Per questo preferisco vivere alla giornata e al momento. La Colombia, tutto questo viaggio sono nati da questo tipo di condotta di vita.
In piedi sulla duna rifletto ad alta voce come al mio solito, mi accorgo che parlo spagnolo, che penso inglese e che sento in italiano. Mi lascio rotolare giù dalla collina di sabbia come quando da bambina le cose a casa andavano male e salivo sulla cima dell' albero per guardare le Due Torri che spuntavano tra i tetti, poi risalivo il prato della scuola materna e facevo i ruzzoloni.
Come dice Anna Politkovskaia: ¨la vita e´piu´complessa delle parole che cercano di spiegarala".
Nessun commento:
Posta un commento