lunedì 30 luglio 2012

Hostal Manaus

Stanotte prendo un aereo e vado a Belem, il tempo qui a Manaus è volato ed è stato di un intensità incredibile.
L´altra sera alla fine sono andata a quella festa di brasiliani ed e´stato assurdo: se un gruppo di 6 persone straniere si presentasse ad una festa in Italia senza conoscere nessun credo che come minimo verrebbe scrutato da testa a piedi e che difficilmente sarebbero stati messi a loro agio come è successo a me.
Era un villa mezza distrutta in un quartiere residenziale di Manaus costituito per lo piu´da compounds; nel giardino avevano messo delle lanterne di carta e allestito un palco. Tutta la notte fino alle sei di mattino hanno suonato musica rock internazionale.
All´inizio mi sentivo come un pesce fuor d´acqua, ero li´con due svizzere super fricchettone, un peruviano di nome Diego che è all'ostello da 3 settimane, un gallese di 39 anni fuori come un melone ma simpaticissimo. Li osservavo e da solita paranoica ho iniziato a pensare che ognuno di loro aveva la sua dimensione, tranne io. Un po' non parlare la lingua, un po´perche´era la prima volta che vedevo tanta gente in festa dopo mesi, mi sentivo rintronata. Diciamo che la Caipirinha ha aiutato a sciogliermi. Alle sette del mattino eravamo tutti perfettamente integrati, troppo forse, dato che Carl il gallese ha preso il microfono e si e´messo a cantare Sunday Blody Sunday degli U2 con un intensità´che sembrava dovesse morire domani.
sul tetto della casa c'era una sorta di capannone abusivo dove tenevano i vecchi arredamenti di un locale. Quando è spuntato il sole eravamo seduti con l'ultima birra che guardavamo i tetti della periferia. Mi sono detta che ero felice di aver seguito il mio istinto.

Quella di ieri è stata una giornata strana, nella quale la mia testa cercava conferme di qualsiasi genere e il mio corpo necessitava di riprendersi dalla resaca: spiaggia del Rio Negro. Lì, in questa sorta di Miami fluviale, ho avuto la prima conferma: il 90% delle tipe brasiliane porta il perizoma filo interdentale.
E' stato abbastanza umiliante mettersi in costume data la mia abbronzatura da tedesca con segni delle canotte, spalle e braccia nere, culo e gambe mozzarella. Una volta che ci siamo ripresi a suon di litri di acqua di cocco, alla sera siamo stati ad un concerto di musica reggae in un centro sociale molto carino e, finalmente, ho ballato un po' di reggae e conosciuto dei ragazzi e delle ragazze brasiliani. Seconda conferma del giorno: il 90% dei brasiliani e delle brasiliane sa come ballare, cosa che per noi europei è frustrante. Con me c'erano il mio collega italiano, l´amico messicano conosciuto a Leticia e Carl: il messicano ha tirato fuori tutta la sua esperianza da ex-festaiolo e ogni modo essendo latinoamericano se la cavava, Carl girava tutto il tempo con la sua inseparabile birra fingendo di capire quello che la gente gli diceva in brasiliano, poi guardavi l´italiano e lo vedevi lì, contro-tempo, agitare il polso all'aria.
Sono salita sul balcone della casetta occupata a fumare una sigaretta. Guardavo la gente passare per strada, i bambini che facevano da palo agli spacciatori, i ragazzi che si bevevano una birra fuori dall'entrata. Mi aggrappavo a qualsiasi cosa per evitare di andare lì con la testa.
Lì è a quella mattina, quando uscendo dalla doccia che dava sul salone dell'ostello mi sono trovata davanti Thomas. A lui che mi dice che sarebbe stato lì fino alla sera alle undici perchè poi aveva il volo per Rio. A lui che al mio rientro dalla spiaggia si ferma con me in terrazza, si fa raccontare della festa e mi parla, mi parla con gli occhi. La mia testa continua ad a quel momento, prima di andare al centro sociale quando sono passata a salutare le ragazze austriache che erano sul tetto ad ascoltare musica, lo trovo lì che gioca a dadi con la sua ragazza. Poi quando lei l'ha lasciato solo per andare su internet mi sono avvicinata. "Sto andando ad una festa in un centro sociale qui vicino, vuoi venire?""Non posso devo stare vicino ai bagagli perchè non fanno servizio di deposito".  Quel momento in cui ho capito tutto: non era vero che erano in quell'ostello per necessità reale, né per caso."Non mi dispiaceva l'idea di vederti...","E' meglio che vado, non vorrei che Maggie si arrabbiasse".Ci siamo sorrisi. Non un bacio, non un accenno allo scambiarsi un contatto per rivedersi. In quel momento ero in piedi sulle scale che lo guardavo, per la prima volta ci osservavamo in un posto che non era la barca. Eravamo splendidi. Eravamo due persone che si erano trovate. E' incredibile quanto un addio avesse la carica emotiva e sensuale di un primo incontro, ma d'altronde nulla di quello che sentivo per lui aveva senso. "Chissà, magari in un'altra vita...", mi dice facendo il tipico sorriso da furbo che sa che dall'altra parte hanno alzato bandiera bianca. Abbasso gli occhi,"Lo spero, lo spero veramente". Avrei potuto rimanere in ostello, passare con lui ancora qualche ora, ma che senso aveva rovinare quell'immagine, quel momento.

Domani si riparte. Prossima tappa Belem.

sabato 28 luglio 2012

Down to the river



Alcune persone avrebbero trovato quattro giorni di navigazione sul Rio delle Amazzoni troppo pesanti. Viaggiare su una nave cargo, stipati nelle amache, cibo sempre uguale...io l'ho trovato magnifico.Il modo piu'bello per entrare in Brasile, con Il fiume che sembra un mare che fa da specchio a tramonti psichedelici. Un viaggio del genere o lo odi o lo ami. Le ore sono identiche, la caoticità in alcuni momenti è ingestibile, le persone sono fuori di testa, alle 8 nell'ora di punta sulla poppa della nave vieni impezzato come in piazza santo stefano ai vecchi tempi. I vecchi brasiliani bevono fino a star male giocandosi tutti i soldi a carte; i migranti di tutta l'America del sud ovest che viaggiano in Brasile in cerca di fortuna si passano segreti per tessere al meglio braccialetti o artesania da vendere per strada. Io ho avuto fortuna, ho incontrato alcune persone in viaggio come me con cui condividere quelle situazioni. Sembrerà eccessivo ma 4 giorni su una barca ti portano a dei livelli di confidenza con le persone che puoi non raggiungere con un compagno di corso. C'era Javi lo scroccone colombiano machista che ti guarda e ti dice:"A te ci penso io", con il quale ho passato ore a discutere di parità tra i sessi mentre lui mi faceva la cavigliera. C'era "l'anonimo belga", che sembrava Tanguy del film francese e che era stato designato come prossima vittima delle mire d'affari da Javi. E poi c'era Thomas, un ragazzo francese con il quale ho passato la maggior parte del tempo. Stava chiudendo un viaggio di un anno con la sua compagna Maggie. Le cose non erano andate proprio secondo i piani e così mentre lei passava le ore al piano inferiore a leggere, io e lui ci siamo raccontati dei reciproci viaggi  e delle nostre vite. Un giorno io , lui e Javi abbiamo rischiato di rimanere a terra perchè siamo corsi ad uno spaccio di un villaggio per comprare una bottiglia di cachasa. Quella notte io e Thomas siamo rimasti fino alle 4 di mattina a raccontarci aneddoti, a parlare di musica, a guardare il cielo che si annullava nel Rio. Onestamente non mi aspettavo che la persona con la quale mi sarei sentita più in sintonia dopo anni potesse essere un francese fidanzato su una barca in Amazzonia. Il destino ha un grande senso dell'umorismo a volte.
Ora sono a Manaus, con me Jorge, un ragazzo messicano di 39 anni, tatuato maya su entrambe le braccia che avevo conosciuto a Tabatinga: fa sorridere vedere come si sia attaccato ai miei piani per la troppa pigrizia di crearsene uno lui. Alcune persone sono così', si lasciano cullare dagli eventi e dalle cose che gli mettono gli altri davanti. Io no, almeno quando viaggio voglio essere padrona delle possibilita' che la vita mi da. Dopo un'ora ero nell'ostello, birra gelida in mano, attorno a me la città che circondava la terrazza dal tetto in legno. Un peruviano e uno svizzero attaccano ad un amplificatore i Fat Freddy's Drop e capisco che sono nel posto giusto. Forse stanotte vado ad una festa a casa di alcuni ragazzi brasiliani, diciamo che seguo quella che in qui chiamano "la buona onda".

martedì 24 luglio 2012

C'erano un'italiana, un austriaco e due tedeschi...

Domani prendo la barca che per quattro giorni mi portera' sulla schiena del fiume piu' grande del mondo. Stamattina ho attraversato il confine per andare a prenotare il biglietto e finalmente l'ho visto: Il Rio. Sembra di essere davanti un'autostrada a 8 carreggiate marrone, e' inutile raccontare qualcosa di diverso da cio' che e' solo per fare colpo su chi legge. Questi giganti d'acqua, soprattutto nelle loro insenature vicine ai porti di snodo, sono il ricettacolo dell'inquinamento del mondo. A me non importa, ho sempre subito il fascino dei luoghi un po' decadenti e con odori strani, non so, forse perche' in qualche modo mi sembrano piu' vissuti degli altri.
La barca che mi ospitera' e' una barca cargo, stamattina alle undici gia' era piena di zucchero, di latte, di mais, di pane in cassetta. al piano superiore un ponte aperto e lasciato aperto per le amache che i viaggiatori attaccano, una vicino all'altra, e che diventano le loro cuccette nei giorni successivi. Dev'essere un'esperienza e non vedo l'ora.
Per il resto, come promesso, mi sto riadattando ad una vita normale. Lentamente faccio meno caso a che tipo di divisa hanno le centinaia di militari che come sempre mi circondano e penso di piu' alle persone civili che incontro. Nell'ostello ho fatto amicizia con un po' di persone: due fratelli tedeschi e un austriaco. Ieri sera siamo stati a bere sotto un capanna di paglia, raccontandoci un po' di storie. Thomas, l'austriaco, e' partito dopo aver terminato gli studi in medicina ed e' in giro da 2 mesi. E' stato in Ecuador, in Peru, in Bolivia, in Argentina, in Brasile... Mi dice che e' stanco di dover salutare le persone nel momento in cui ci entra un po' in confidenza e che e' contento che sua madre lo raggiunga domani a Bogota', cosi' per avere il gusto di stare con qualcuno con cui non devi traccontarti da capo. Penso che sono nella situazione opposta, che io ho appena cominciato a viaggiare e che passerei le mie ore a raccontare e farmi raccontare delle persone che incontro. Costantin, e' medico anche lui e ha fatto il tirocinio nella sezione traumatolgica dell'ospedale di Cali': dopo due mesi era letteralmente sconvolto dal numero di feriti per arma da fuoco che aveva dovuto soccorrere. Sua sorella Josephine e' una macchietta, mi ricorda Camilla, forse perche' studia design di moda o perche' esaltata mi ha mostrato una collezione di piatti di plastica trashissimi che aveva appena deciso di portarsi in Germania e che mi ricordavano il gusto anni 80 della mia amica. Sfortunatamente tutti rimangono da questa parte della frontiera ma stasera ci salutiamo a dovere: appena finito di scrivere vado a prendere la carne per fare un ragu e poi andiamo a rumbeare. La sola idea di ballare un po' mi stampa un sorriso a 150 denti.
Scrivero' una volta a Manaus, capitale dello stato federale dell'Amazzonia. Non riesco a immaginare lo shock culturale di trovarmi di colpo in una metropoli brasiliana senza sapere una parola di portoghese e dopo 4 giorni nella foresta amazzonica. Ma forse e' anche questo il bello, non sapere, non immaginare.

lunedì 23 luglio 2012

Una boccata d'aria

Quando dal finestrino dell'aereo ho guardato giu' ed ho visto questa distesa di alberi non ci credevo, eccolo il polmone del mondo, un mare che sembra fatto di broccoli e del quale non riesci ad intravedere i confini: un oceano verde.
Inizia la seconda perte del mio viaggio, dai toni sicuramente piu' rilassati, dai colori piu' accesi rispetto a quelli del Pollock. Non la considero la parte migliore perche'e' totalmente differente rispetto al senso che hanno avuto questi tre mesi come scudo umano, li' il senso delle mie azioni, del mio muovermi era per gli altri; ora inizio a muovermi per me, per la mia liberta' di conoscere questo pezzettino di mondo. E le persone che lo abitano o lo transitano.
Leticia e' una cittadina della riviera romagnola sul Rio delle Amazzoni, ci sono le sale giochi, i negozi con i materassini gonfiabili, i tuc-tuc. Dormo in un ostello un attimino fuori dal centro, che sembra immerso dentro una mini giungla e dove i dormitori sono delle palafitte che si affacciano su  un lago privato.  Doccie in bambu per due "cosi' insomma se una coppia vuole fare la doccia insieme...ci siamo capiti". Non bisogna farsi ingannare dalle apparenze, è un lugo tanto bello quanto misterioso e cutre. Il proprietario e' Gustavo, colombiano trapiantato in Belgio per non so quanti anni. Dice che ha studiato filosofia e che conosce tutto di questo posto, e' vero, non sembra che possa accadere nulla all'interno dell'ostello senza che lui lo sappia. Ad aiutarlo c'e' Olga una donna con un eta' indefinibile  a causa di un probabile abuso di sostanza stupefacenti nel passato. Passa il suo tempo a parlare da sola o con il cane, la adoro, mi ricorda me negli ultimi 3 mesi.
Mi fermero' qui fino a mercoledi' e pòi passero' il confine brasiliano per prendere la barca che da Tabatinga mi portera' a Manaus percorrendo il Rio delle Amazzoni. Sfruttero' questi due giorni per riadattarmi ad orari socialmente utili, che in vacanza evidentemente non sono svegliarsi alle sei ed andare a letto alle nove e mezza.
Ieri sera per fare un po' di training mi sono seduta in un bar vicino ad un signore con un cappello da strege fatto di paglia. Mentre bevevo birre ghiacciate guardavo la gente per strada festeggiare la vittoria dell'Atletico Nacional di Antioquia. La testa e le spalle che, man mano che un po' della bassa gradazione alcolica faceva effetto, iniziavano a muoversi al ritmo della salsa. E' stata la prima sera dopo tre mesi dove sono uscita.

giovedì 19 luglio 2012

La despedida

Da quando sono arrivata e' la prima notte che ho avuto freddo. Il sacco a pelo era imbevuto di umidita', la pioggia, incessante, ha scandito ogni minuto della mia notte insonne.
Poi, finalmente, e' arrivata l'alba e come dicono gli Afterhours sapevo che era li' per me, spuntando ha irradiato i profili delle montagne, le loro punte sono emerse dalle nubi cosi' basse da sembrare un mare in cui le vette affogano.
Apro la zanzariera per godermi meglio lo spettacolo: la luce filtra tra i vecchi alberi di cacao e quando ancora e' tiepida e l'odore e' quello dell'erba alta bagnata, ecco le sagome di due banbini, due fratellini che sembrano usciti dalle fiabe. Sono bimba anch'io e chiudo gli occhi facendo finta di dormire così da poterli sbirciare. Il piu' grande che ha cinque anni sta davanti e si gira per zittire la sorellina. Lei gli rifa' il verso del silenzio con la mano, nell'altra un piccolo pappagallino verde.
Avrei voluto chiudere quest'avventura colombiana con un pezzo sugli investimenti di ENEL nel Quimbo, dove la nostra impresa, statale per il 31%, sta  per inondare piu' di 8.000 ettari per creare una centrale idroelettrica causando cio' che viene appropriatamente definito ecocidio. Pero' poi ho pensato che c'e' tempo, c'e' sempre tempo per scrivere di come certe cose non funzionano a questo mondo.
Quello per cui voglio prendermi il tempo invece e' scrivere di ciò che invece rischio di perdere se non me lo prendo del tempo, quello che c'è dietro la zanzariera prima chiusa. La realtà, non per come la vedresti attraverso i numeri di un articolo o i racconti di un amico. La realtà per la persona che sei e ciò che vede dalla sua amaca. E allora tutto diventa piu' affrontabile: ad esempio intravedere tra la cacotera il monumento in pietra che ricorda il massacro della famiglia di Alfonso Bolivar, quando nel 2005 paramilitari e militari hanno avuto il fegato di uccidere una famiglia intera e di sgozzare due bambini dopo avergli offerto una caramella, e non farmi prendere dalla rabbia. Perche' girando lo sguardo di mezzo millimetro due fratellini si sussurrano scalzi con un pappagallino in mano. Se a quel massacro fosse seguita una rivolta aramata, se non si fossero fermati, se si fosse reagito con rabbia, bhe probabilmente i bambini uccisi con la bocca che ancora sapeva di zucchero sarebbero stati a decine, al posto della cacaotera ci sarebbe della coca.



martedì 10 luglio 2012

Sotto sotto sempre io



DUE GAGS PER GLI AMICI PRIMA DI LASCIARE QUESTO PAESE, FORSE


Il vitello dai piedi di Balsa

                                                                                        Il cobra non e' un serpente
                                  E' un diesel?

Coca, Casa e Chiesa



Per la prima volta da quando sono arrivata ho avuto modo di fare un accompagnamento senza la capa. Forse non mi fa onore dirlo ma è stato un po' come avere la casa libera per il fine settimana quando si ha sedici anni. Adesso che sto per andarmene posso ammetterlo: ho fatto una fatica pazzesca a sopravvivere agli atteggiamenti delle persone con le quali ho lavorato, in particolari i suoi.
Questi giorni libera dal suo controllo mi hanno dato finalmente la possibilità di vivere la situazione in accompagnamento come avrei sempre voluto: prendermi il tempo per farmi stupire dalla natura mentre raggiungo i posti più dispersi; farmi raccontare delle diverse tipologie di mango, fermarmi ad assaggiarle per carpirne la differenza; imparare a distinguere le piante taglienti per evitare di diventare ciò che sono, un corpo coperto di segni; concedermi il tempo, “banalmente”, per stabilire un contatto umano ed intimo con questa gente che dovrei proteggere e con la quale devo convivere; avere la conferma del fatto che con me le persone si sentono a loro agio nel raccontarsi.
Se ci fosse stata lei non mi sarebbe mai venuto durante il cammino di due ore di confessare a Wualbert che l'odore di mango imputridito mi ricorda terribilmente il mercato di Modurua di Nairobi dove mi hanno sequestrato due anni fa. La sua presenza avrebbe impedito a lui di raccontarmi della volta in cui è stato sequestrato dai paramilitari a 12 anni. Non si sarebbe sentito libero di parlare a ruota libera per mezzora, non avrei notato i colpi di verga sul sedere della mula che si facevano più intensi quando la rabbia gli bloccava la voce.
Nulla di questo e di quello che racconterò sarebbe successo, per quanto si tratti di semplici scampoli di vita di progetto, perchè ogni qual volta ho tentato di fare a modo mio, di creare dei canali preferenziali con le persone che mi circondavano, ho sempre avuto la sensazione, talvolta accompagnata da una sua diretta conferma, di essere osservata in attesa di un passo falso. Ciò che mi ha reso la vita difficile è stato il fatto che le ammonizioni non siano mai verificate in maniera costruttiva, seduti ad un tavolo in cui  uno spiega all'altro le ragioni dei suoi comportamenti per trovare una soluzione; il suo è un atteggiamento figlio della più ferrea cultura cattolica parrocchiale, qualcosa che mi mette l'ansia solo a pensarlo figurati a viverlo 24 ore su 24. 
Si tratta di quel modo di agire della chiesa in cui l'obbligo viene addolcito perchè sancito da un uomo che veste di bianco; quel modo di parlare dove ricorre l'utilizzo del “noi” e delle parole “pace e fratellanza” salvo  non rendersi conto che “noi” può voler dire “non tu” e che le voci “pace e fratellanza” stonano molto con i giudizi cocenti sugli stili di vita altrui tipici di questa gente e figli della stessa organizzazione che ha istituzionalizzato l'Inquisizione e l'omofobia.
Ho fatto fatica dunque, molta fatica, ma alla fine, per usare un altro termine che a questa gente piace molto, la “giustizia divina” ha fatto il suo corso e sono riuscita a raccogliere informazioni un po' piu' dettagliate su uno dei business che sta dietro a questa taciuta guerra civile: la cocaina. Ottenere informazioni ufficiali sulla coltivazione illecita in un contesto in cui lo stesso  SAT, il Sistema di Allerta Temprana (un ente istituito dallo stato che si occupa di raccogliere denunce di civili in forma anonima per redigere dei report da pubblicare online ed inviare al governo perchè sia costantemente informato sullo stato delle cose), viene impedito a pubblicare sul web i dati che raccoglie perchè minano gli investimenti internazionali non è un operazione facile. Vivere a stretto contatto con i campesinos quindi, rappresenta un valore aggiunto, con la dovuta cautela è possibile sapere dei prezzi “all'origine” e cosa comporta essere un cocalero; sono informazioni che non ottiene chiunque e che non vengono date a chiunque, perciò sono felice che dopo tre mesi chi me le ha fornite si sia fidato di me.

Perchè diventi produttiva, la pianta di coca ha bisogno di un anno, una volta pronta può fruttare fino a 4 raccolti l'anno e durare 10 anni. Ora, mettiamo che un contadino abbia un ettaro di terra e che decida di coltivarlo a coca: ogni raccolto frutta 150 arrobas, che sono i sacchi di foglie utilizzati come unità di misura. Una arroba equivale a 12 kg di foglie e costa al contadino 5000 CPO (pesos colombiani), ovvero il prezzo che egli paga al raspacino perchè gliela raccolga (è infatti inverosimile che al fronte di una data di consegna il campesino da solo riesca a raccogliere tutte le foglie di coca che produce). Per produrre un chilo di pasta di coca sono necessari 300 kg di foglie e un chilo di pasta fattura al campesino 2200000 CPO. Tuttavia, se il campesino vive in una regione come quella di Cordoba o Antioquia, dove il controllo sul narcotraffico è gestito da FARC e paramilitari, questo si troverà a pagare un pizzo di 400.000 CPO (200.000 per ogni gruppo criminale) su ogni chilo di pasta di coca che vende, la così detta vacuna.
Problema: Quanto fattura alla fine di ogni raccolto il campesino tenendo conto che 1 euro equivale a 2300 CPO? Quanto e' la differenza con quanto fattura il medesimo raccolto in Italia tenendo conto che dopo diversi tagli un chilo di coca nel nostro paese vale circa 150.000 euro?
Soluzione: Un ettaro di terra produce 6 kg di pasta di coca che equivalgono a 10.050.000 CPO al netto della mano d'opera per i raspacinos e delle vacunas per i gruppi armati illegali. Il prezzo all'origine di 1800 kg di foglie che diventeranno, una volta processate, 6 kg di coca è di 4367 euro. I medesimi chili di coca purissima, tagliati varie volte prima che arrivino alle narici italiane spacciati per un puro al 90%, valgono  900.000 euro.
Se poi dopo uno ha la fortuna di avere un contatto diretto con la popolazione campesina si può permettere il lusso di chiedere cosa pensano loro in merito all' ipotesi di legalizzare la coltivazione di coca e si può  rimanere sorpresi nel ricevere come risposta un secco “no, non siamo d'accordo”. Ho chiesto delucidazioni e mi è stato spiegato che dal punto di vista del coltivatore la legalizzazione sarebbe un danno economico: il prezzo della vendita di foglie si abbasserebbe facendo crollare il mercato, chi cerca la coca (in prevalenza noi europei e gli statunitensi) si troverebbe un altro paese in cui fare affari. Ciò che capisco rimarrebbe inalterato è il guadagno pazzesco che fanno organizzazioni mafiose come la 'ndrangheta che narcotrafficano nei paesi consumantori: se l'offerta cala ma la domanda rimane invariata il prezzo del bene sale alle stelle, e dubito che chi consuma abitualmente cocaina sia disposto a rinunciarvici domani.
Alle informazioni dei campesini si aggiungono poi quelle degli incontri informali con gli operatori del SAT i quali, sempre se riesci a stabilire un canale confidenziale con la persona, ti spiegano che sono in possesso di informazioni che stabiliscono con certezza il fatto che i militari stessi sono talvolta proprietari di coltivi illeciti e che spesso e volentieri organizzano finti scontri tra paramilitari ed esercito nelle zone in cui i contadini si rifiutano di coltivare coca per poter recintare militarmente i campi ed impossessarsi del territorio il tempo necessario per impiantare un campo e godersi i frutti del raccolto. Ciò che sta dietro al business e al conflitto infatti, è la cresta che paramilitari e guerrilla riescono a fare sul raccolto, processando le foglie di coca per creare la pasta e proponendosi come intermediari tra i campesinos e le organizzazioni che narcotrafficano fuori dal paese.
Quando ho finito di farmi raccontare del business che sta dietro alla tanto amata polvere bianca ero ben lontana dall'aver esaurito le domande e i dubbi su tutto quello che riguarda quest'argomento, ma mi sono fermata. Ho osservato il mio interlocutore ed ho capito che piu' in là non aveva voglia di andare, davanti a sé aveva un enorme piatto di riso, insalata di avocados e arepa ed il discorso per lui era chiuso li'.

La lontananza di un controllo costante è stata funzionale anche alla possibilità di affrontare discorsi più leggeri, spensierati. Al di là del contesto, della differenza di cultura, spesso ti trovi a fare da scudo a dei coetanei o a gente che ha qualche anno più di te; a volte semplicemente è bello guardarsi una finale (disastrosa) degli europei assieme o parlare della vita, del futuro, “di quella volta che...”.
Un giorno di questi eravamo tutti intenti a fare dei lavoretti di artigianato, io personalmente sto sfidando le leggi della fisica e mi sto buttando sulla tessitura di bracciali e cavigliere in perline (tanto per dare l'idea: quel giorno dopo 4 ore ho finito un braccialetto con il nome di una delle ragazze che ci ospitava salvo poi scoprire che l'avevo scritto nella maniera sbagliata; per la serie: è pur vero che chi persevera vince e che dalla merda può nascere un fiore ma poi non è detto che quel fiore profumi). Dialogo.
“Se potessi scegliere come lo vorresti un compagno, uno con cui mettere su casa?”
Dentro di me penso;: “cazzo già faccio fatica a infilare ste stronze di perline poi tu mi chiedi ste robe...va bhe..”
“Se potessi vorrei qualcuno che mi accompagnasse in questa vita itinerante, una persona abbastanza a posto e adattabile da potersi vivere al meglio ogni luogo in cui è. Se potessi vorrei una persona che mi dica che sono bella anche quando penso di essere un cesso e che sia capace di farmi sentire sua anche in mezzo alla gente senza essere invadente. Se avessi modo di scegliere, vorrei una persona con la quale ridere, con la quale fare l'alba a ballare e bere ma che allo stesso tempo capisca quando queste cose ho voglia di farle da sola con i miei amici. Se potessi sceglierla, vorrei che questa persona sapesse riconoscere quando sto male e che in quei momenti mi guardasse, non dicesse nulla, che mi mettesse una mano sulla testa e mi sussurrasse“ci penso io”. Vorrei una persona che proteggesse la mia persona ed il nostro rapporto prima di ogni altra cosa; che non tradisse me e la mia fiducia. Qualcuno che mi veda come madre dei suoi figli e che per questo non smetta di desiderarmi come donna. E tu?”
“Se potessi vorrei una donna che credesse in Dio, che fosse avventista come me o che rispettasse il mio credo. Sceglierei una donna che ama questo posto e che capisce l'importanza che per me ha vivere nella terra che è stata della mia famiglia. Se potessi sceglierei una donna con delle curve importanti, non grossa, ma con delle forme che si vedono. Vorrei che sapesse cucinare i prodotti che coltiviamo come facciamo noi. Mi piacerebbe una donna che sapesse guidare e che avesse una buona cultura, che leggesse i giornali. Se potessi vorrei una donna che se non ci fossi io si comportasse esattamente come avrei fatto io. Una donna della quale essere orgoglioso insomma.”
“Dici che ce la facciamo a scegliere Walter?”.
Scoppia a ridere: “Io credo di no; quale donna sceglierebbe liberamente di vivere in una finca tra paramilitari e guerrillieri?”.
“Siamo fottuti Walter! Perchè secondo te quale persona trova allettante una donna che adora stare in giro, nei posti più dimenticati da Dio, ballare, bere e che allo stesso tempo non vuole avere 40 anni per fare un figlio? Una bipolare...”.
“Nessuno”, continua a ridere mentre affila il machete, “Comunque per la media colombiana sei già troppo vecchia per fare un figlio, buttati sui balli e sui viaggi”.
“Parli tu che c'hai 30 anni e sei uno scapolo in mezzo al nulla”.
La sorella di Walter ride mentre pulisce la pentola e anche noi continuiamo a ridere, mi mancava questa sensazione di leggerezza dello sfottò tra amici.
“Dai però, idealismi a parte, una cosa in una donna che se la trovi dici: questa me la sposo?”.
“Vediamo”, si fa serio mentre continua a scalfire il legno di cocco, “una che sa cucinare un'ottima torta d'arepa e che mi fa dormire sull'amaca: io sul letto non ci voglio dormire. Tu?
“Ah questo è un grande classico del mio repertorio Walter, lo dico sempre perchè intimamente so che è difficile che accada: un uomo che così, senza motivo, mi prende e mi fa ballare, anche un attimo, un passo a due. Se poi mi regala una bicicletta è l'uomo della mia vita”.
“Non potrei mai essere io, non so ballare e poi non te ne faresti nulla di una bici in mezzo alla selva”.
“Walter nenache io potrei essere la donna per te. Sono atea e dubito di saper cucinare una torta d'arepa”.
Continuiamo i nostri lavori d'artigianato e a ridere delle nostre disavventure amorose. Alla fine Walter mi regala un anello di cocco e mi dice: “vediamo se così ti senti più protetta e ti decidi a scegliere”.

La sera vado da lui e gli traduco un pezzo tratto dalla biografia di un rifugiato sudanese che ho finito di leggere quei giorni, in questo brano racconta della perdita dell'amore della sua vita, conosciuta in un campo rifugiati, ritrovata negli Stati Uniti e lì uccisa da un alttro sudanese che la perseguitava:
“E' fatta apposta per chiudere le nostre chiacchere di oggi sull'amore:
Se mai amerò ancora non aspetterò di amare al mio meglio. Pensavamo di essere giovani e che questo significasse avere tempo per amare meglio in futuro. E' un modo terribilmente sbagliato di pensare. Aspettare di amare non è un modo di vivere.
“E' meglio se imparo bene a farmi la torta di arepa come piace a me”
“Ed io è meglio se vado a piedi”
“Buonanotte”
“Buonanotte Walter”.