martedì 10 luglio 2012

Coca, Casa e Chiesa



Per la prima volta da quando sono arrivata ho avuto modo di fare un accompagnamento senza la capa. Forse non mi fa onore dirlo ma è stato un po' come avere la casa libera per il fine settimana quando si ha sedici anni. Adesso che sto per andarmene posso ammetterlo: ho fatto una fatica pazzesca a sopravvivere agli atteggiamenti delle persone con le quali ho lavorato, in particolari i suoi.
Questi giorni libera dal suo controllo mi hanno dato finalmente la possibilità di vivere la situazione in accompagnamento come avrei sempre voluto: prendermi il tempo per farmi stupire dalla natura mentre raggiungo i posti più dispersi; farmi raccontare delle diverse tipologie di mango, fermarmi ad assaggiarle per carpirne la differenza; imparare a distinguere le piante taglienti per evitare di diventare ciò che sono, un corpo coperto di segni; concedermi il tempo, “banalmente”, per stabilire un contatto umano ed intimo con questa gente che dovrei proteggere e con la quale devo convivere; avere la conferma del fatto che con me le persone si sentono a loro agio nel raccontarsi.
Se ci fosse stata lei non mi sarebbe mai venuto durante il cammino di due ore di confessare a Wualbert che l'odore di mango imputridito mi ricorda terribilmente il mercato di Modurua di Nairobi dove mi hanno sequestrato due anni fa. La sua presenza avrebbe impedito a lui di raccontarmi della volta in cui è stato sequestrato dai paramilitari a 12 anni. Non si sarebbe sentito libero di parlare a ruota libera per mezzora, non avrei notato i colpi di verga sul sedere della mula che si facevano più intensi quando la rabbia gli bloccava la voce.
Nulla di questo e di quello che racconterò sarebbe successo, per quanto si tratti di semplici scampoli di vita di progetto, perchè ogni qual volta ho tentato di fare a modo mio, di creare dei canali preferenziali con le persone che mi circondavano, ho sempre avuto la sensazione, talvolta accompagnata da una sua diretta conferma, di essere osservata in attesa di un passo falso. Ciò che mi ha reso la vita difficile è stato il fatto che le ammonizioni non siano mai verificate in maniera costruttiva, seduti ad un tavolo in cui  uno spiega all'altro le ragioni dei suoi comportamenti per trovare una soluzione; il suo è un atteggiamento figlio della più ferrea cultura cattolica parrocchiale, qualcosa che mi mette l'ansia solo a pensarlo figurati a viverlo 24 ore su 24. 
Si tratta di quel modo di agire della chiesa in cui l'obbligo viene addolcito perchè sancito da un uomo che veste di bianco; quel modo di parlare dove ricorre l'utilizzo del “noi” e delle parole “pace e fratellanza” salvo  non rendersi conto che “noi” può voler dire “non tu” e che le voci “pace e fratellanza” stonano molto con i giudizi cocenti sugli stili di vita altrui tipici di questa gente e figli della stessa organizzazione che ha istituzionalizzato l'Inquisizione e l'omofobia.
Ho fatto fatica dunque, molta fatica, ma alla fine, per usare un altro termine che a questa gente piace molto, la “giustizia divina” ha fatto il suo corso e sono riuscita a raccogliere informazioni un po' piu' dettagliate su uno dei business che sta dietro a questa taciuta guerra civile: la cocaina. Ottenere informazioni ufficiali sulla coltivazione illecita in un contesto in cui lo stesso  SAT, il Sistema di Allerta Temprana (un ente istituito dallo stato che si occupa di raccogliere denunce di civili in forma anonima per redigere dei report da pubblicare online ed inviare al governo perchè sia costantemente informato sullo stato delle cose), viene impedito a pubblicare sul web i dati che raccoglie perchè minano gli investimenti internazionali non è un operazione facile. Vivere a stretto contatto con i campesinos quindi, rappresenta un valore aggiunto, con la dovuta cautela è possibile sapere dei prezzi “all'origine” e cosa comporta essere un cocalero; sono informazioni che non ottiene chiunque e che non vengono date a chiunque, perciò sono felice che dopo tre mesi chi me le ha fornite si sia fidato di me.

Perchè diventi produttiva, la pianta di coca ha bisogno di un anno, una volta pronta può fruttare fino a 4 raccolti l'anno e durare 10 anni. Ora, mettiamo che un contadino abbia un ettaro di terra e che decida di coltivarlo a coca: ogni raccolto frutta 150 arrobas, che sono i sacchi di foglie utilizzati come unità di misura. Una arroba equivale a 12 kg di foglie e costa al contadino 5000 CPO (pesos colombiani), ovvero il prezzo che egli paga al raspacino perchè gliela raccolga (è infatti inverosimile che al fronte di una data di consegna il campesino da solo riesca a raccogliere tutte le foglie di coca che produce). Per produrre un chilo di pasta di coca sono necessari 300 kg di foglie e un chilo di pasta fattura al campesino 2200000 CPO. Tuttavia, se il campesino vive in una regione come quella di Cordoba o Antioquia, dove il controllo sul narcotraffico è gestito da FARC e paramilitari, questo si troverà a pagare un pizzo di 400.000 CPO (200.000 per ogni gruppo criminale) su ogni chilo di pasta di coca che vende, la così detta vacuna.
Problema: Quanto fattura alla fine di ogni raccolto il campesino tenendo conto che 1 euro equivale a 2300 CPO? Quanto e' la differenza con quanto fattura il medesimo raccolto in Italia tenendo conto che dopo diversi tagli un chilo di coca nel nostro paese vale circa 150.000 euro?
Soluzione: Un ettaro di terra produce 6 kg di pasta di coca che equivalgono a 10.050.000 CPO al netto della mano d'opera per i raspacinos e delle vacunas per i gruppi armati illegali. Il prezzo all'origine di 1800 kg di foglie che diventeranno, una volta processate, 6 kg di coca è di 4367 euro. I medesimi chili di coca purissima, tagliati varie volte prima che arrivino alle narici italiane spacciati per un puro al 90%, valgono  900.000 euro.
Se poi dopo uno ha la fortuna di avere un contatto diretto con la popolazione campesina si può permettere il lusso di chiedere cosa pensano loro in merito all' ipotesi di legalizzare la coltivazione di coca e si può  rimanere sorpresi nel ricevere come risposta un secco “no, non siamo d'accordo”. Ho chiesto delucidazioni e mi è stato spiegato che dal punto di vista del coltivatore la legalizzazione sarebbe un danno economico: il prezzo della vendita di foglie si abbasserebbe facendo crollare il mercato, chi cerca la coca (in prevalenza noi europei e gli statunitensi) si troverebbe un altro paese in cui fare affari. Ciò che capisco rimarrebbe inalterato è il guadagno pazzesco che fanno organizzazioni mafiose come la 'ndrangheta che narcotrafficano nei paesi consumantori: se l'offerta cala ma la domanda rimane invariata il prezzo del bene sale alle stelle, e dubito che chi consuma abitualmente cocaina sia disposto a rinunciarvici domani.
Alle informazioni dei campesini si aggiungono poi quelle degli incontri informali con gli operatori del SAT i quali, sempre se riesci a stabilire un canale confidenziale con la persona, ti spiegano che sono in possesso di informazioni che stabiliscono con certezza il fatto che i militari stessi sono talvolta proprietari di coltivi illeciti e che spesso e volentieri organizzano finti scontri tra paramilitari ed esercito nelle zone in cui i contadini si rifiutano di coltivare coca per poter recintare militarmente i campi ed impossessarsi del territorio il tempo necessario per impiantare un campo e godersi i frutti del raccolto. Ciò che sta dietro al business e al conflitto infatti, è la cresta che paramilitari e guerrilla riescono a fare sul raccolto, processando le foglie di coca per creare la pasta e proponendosi come intermediari tra i campesinos e le organizzazioni che narcotrafficano fuori dal paese.
Quando ho finito di farmi raccontare del business che sta dietro alla tanto amata polvere bianca ero ben lontana dall'aver esaurito le domande e i dubbi su tutto quello che riguarda quest'argomento, ma mi sono fermata. Ho osservato il mio interlocutore ed ho capito che piu' in là non aveva voglia di andare, davanti a sé aveva un enorme piatto di riso, insalata di avocados e arepa ed il discorso per lui era chiuso li'.

La lontananza di un controllo costante è stata funzionale anche alla possibilità di affrontare discorsi più leggeri, spensierati. Al di là del contesto, della differenza di cultura, spesso ti trovi a fare da scudo a dei coetanei o a gente che ha qualche anno più di te; a volte semplicemente è bello guardarsi una finale (disastrosa) degli europei assieme o parlare della vita, del futuro, “di quella volta che...”.
Un giorno di questi eravamo tutti intenti a fare dei lavoretti di artigianato, io personalmente sto sfidando le leggi della fisica e mi sto buttando sulla tessitura di bracciali e cavigliere in perline (tanto per dare l'idea: quel giorno dopo 4 ore ho finito un braccialetto con il nome di una delle ragazze che ci ospitava salvo poi scoprire che l'avevo scritto nella maniera sbagliata; per la serie: è pur vero che chi persevera vince e che dalla merda può nascere un fiore ma poi non è detto che quel fiore profumi). Dialogo.
“Se potessi scegliere come lo vorresti un compagno, uno con cui mettere su casa?”
Dentro di me penso;: “cazzo già faccio fatica a infilare ste stronze di perline poi tu mi chiedi ste robe...va bhe..”
“Se potessi vorrei qualcuno che mi accompagnasse in questa vita itinerante, una persona abbastanza a posto e adattabile da potersi vivere al meglio ogni luogo in cui è. Se potessi vorrei una persona che mi dica che sono bella anche quando penso di essere un cesso e che sia capace di farmi sentire sua anche in mezzo alla gente senza essere invadente. Se avessi modo di scegliere, vorrei una persona con la quale ridere, con la quale fare l'alba a ballare e bere ma che allo stesso tempo capisca quando queste cose ho voglia di farle da sola con i miei amici. Se potessi sceglierla, vorrei che questa persona sapesse riconoscere quando sto male e che in quei momenti mi guardasse, non dicesse nulla, che mi mettesse una mano sulla testa e mi sussurrasse“ci penso io”. Vorrei una persona che proteggesse la mia persona ed il nostro rapporto prima di ogni altra cosa; che non tradisse me e la mia fiducia. Qualcuno che mi veda come madre dei suoi figli e che per questo non smetta di desiderarmi come donna. E tu?”
“Se potessi vorrei una donna che credesse in Dio, che fosse avventista come me o che rispettasse il mio credo. Sceglierei una donna che ama questo posto e che capisce l'importanza che per me ha vivere nella terra che è stata della mia famiglia. Se potessi sceglierei una donna con delle curve importanti, non grossa, ma con delle forme che si vedono. Vorrei che sapesse cucinare i prodotti che coltiviamo come facciamo noi. Mi piacerebbe una donna che sapesse guidare e che avesse una buona cultura, che leggesse i giornali. Se potessi vorrei una donna che se non ci fossi io si comportasse esattamente come avrei fatto io. Una donna della quale essere orgoglioso insomma.”
“Dici che ce la facciamo a scegliere Walter?”.
Scoppia a ridere: “Io credo di no; quale donna sceglierebbe liberamente di vivere in una finca tra paramilitari e guerrillieri?”.
“Siamo fottuti Walter! Perchè secondo te quale persona trova allettante una donna che adora stare in giro, nei posti più dimenticati da Dio, ballare, bere e che allo stesso tempo non vuole avere 40 anni per fare un figlio? Una bipolare...”.
“Nessuno”, continua a ridere mentre affila il machete, “Comunque per la media colombiana sei già troppo vecchia per fare un figlio, buttati sui balli e sui viaggi”.
“Parli tu che c'hai 30 anni e sei uno scapolo in mezzo al nulla”.
La sorella di Walter ride mentre pulisce la pentola e anche noi continuiamo a ridere, mi mancava questa sensazione di leggerezza dello sfottò tra amici.
“Dai però, idealismi a parte, una cosa in una donna che se la trovi dici: questa me la sposo?”.
“Vediamo”, si fa serio mentre continua a scalfire il legno di cocco, “una che sa cucinare un'ottima torta d'arepa e che mi fa dormire sull'amaca: io sul letto non ci voglio dormire. Tu?
“Ah questo è un grande classico del mio repertorio Walter, lo dico sempre perchè intimamente so che è difficile che accada: un uomo che così, senza motivo, mi prende e mi fa ballare, anche un attimo, un passo a due. Se poi mi regala una bicicletta è l'uomo della mia vita”.
“Non potrei mai essere io, non so ballare e poi non te ne faresti nulla di una bici in mezzo alla selva”.
“Walter nenache io potrei essere la donna per te. Sono atea e dubito di saper cucinare una torta d'arepa”.
Continuiamo i nostri lavori d'artigianato e a ridere delle nostre disavventure amorose. Alla fine Walter mi regala un anello di cocco e mi dice: “vediamo se così ti senti più protetta e ti decidi a scegliere”.

La sera vado da lui e gli traduco un pezzo tratto dalla biografia di un rifugiato sudanese che ho finito di leggere quei giorni, in questo brano racconta della perdita dell'amore della sua vita, conosciuta in un campo rifugiati, ritrovata negli Stati Uniti e lì uccisa da un alttro sudanese che la perseguitava:
“E' fatta apposta per chiudere le nostre chiacchere di oggi sull'amore:
Se mai amerò ancora non aspetterò di amare al mio meglio. Pensavamo di essere giovani e che questo significasse avere tempo per amare meglio in futuro. E' un modo terribilmente sbagliato di pensare. Aspettare di amare non è un modo di vivere.
“E' meglio se imparo bene a farmi la torta di arepa come piace a me”
“Ed io è meglio se vado a piedi”
“Buonanotte”
“Buonanotte Walter”.

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