Dall'altra parte della stradina che divide il nostro caserio, nella foresteria a disposizione delle altre organizzazioni internazionali, quattro bambini giocano con il gancio del cancelletto che tiene fuori i cani. Dal tavolo di casa li osservo e mi chiedo se lo sapranno, penso se un giorno quando saranno piu' grandi sapranno ricordare che il giorno del funerale di loro padre loro erano qui con la loro mamma invece che nel posto dove veniva interrato, per salutarlo un ultima volta.
Al rientro dall'accompagnamento il Capo si e' presentato a casa nostra in tarda serata; sono qui da poco ma ho imparato che quando fa cosi' e' successo qualcosa di grave. La notte tra il 22 e il 23 di Maggio, in una vereda nella regione di Cordoba, pare che un commando paramilitare ha fatto irruzione uccidendo due uomini. Uno stava lavorando nel campo, l'altro, L.A.T. e' stato ucciso vicino alla sua abitazione. Pur non essendo membro della comunita', L.A.T era passato di qui due mesi fa mentre si recava ad Apartado' per un carico di mais. Desplazado da meta' degli anni novanta con tutta la sua famiglia, dopo l'uccisione di due dei suoi fratelli sempre per mano paramilitare e la distruzione di un capanno pieno di granoturco a causa di un bombardamento dell'esercito, due anni fa aveva deciso di ritornare alla sua finca di origine. Pare che L.A.T avesse un abilita' particolare nel coltivare mais e allevare maiali, tanto da essere arrivato ad averne quasi 200; era una persona che faceva il suo lavoro di campesino in maniera seria ed onesta, che aveva in ogni posto in cui aveva vissuto cercato di inseguire quell'idea semplice: maiali e granoturco.
L'hanno ucciso forse per questo, perche' a volte le idee piu' semplici danno fastidio. Fatto sta che la sua compagna, i quattro figli e il padre, hanno chiamato il C. Loro non si trovavano nella vereda al momento del massacro e non sapevano dove era stato portato il corpo; l'hanno trovato dopo una giornata di telefonate, era in un obitorio in una cittadina di Cordoba, alla madre il compito di riconoscerlo.
In Colombia, come i tutto il mondo, esitono degli standard anche per i funerali (per 600 euro si possono avere anche le donne in minigonna che spargono i fiori sul percorso della bara), forse la sola differenza e' che in un paese come questo una morte per omicidio non fa' tanto scalpore, non necessita' di una particolare sensibilita' o agevolazione; al contrario, se la norma e' fare l'affare, perche' non approfittare di una famiglia di campesini poveri e sconvolti per tirare sul prezzo e chiedere il doppio di quello che ci vorrebbe per una bara e un carro che trasporta il feretro nel cimitero. Quando il Capo ci racconta come e' riuscito a intuire che li stavano truffando e a risolvere era arrabbiato, ma non con l'agenzia funebre, con loro, i familiari che invece che reagire ed incazzarsi rimanevano passivi e alla merce' del male intenzionato di turno.
Mentre tutto questo accadeva, la compagna di L.A.T, la madre dei suoi figli, riceve una telefonata. Una voce anonima l'ha informata che non sarebbe stato il caso di presentarsi al funerale, ne' per lei ne' per il padre. Quella vedova siede ora nella foresteria in attesa della Croce Rossa Internazionale, aspettando di sapere dove andra' a vivere e se potra' tornare scortata a casa sua, almeno per prendere i vestiti.
I bambini giocano con il gancio del cancelletto mentre il loro papa'viene interrato dopo essere stato ammazzato da persone che resteranno per sempre impunite; cresceranno, e forse si vociferera' che lo hanno assassinato perche'era un guerrillero; diventeranno grandi e chissa' se allora quell'idea semplice, fatta di maiali e di mais, sara' stata uccisa anche lei.
Parto domani e vado per una settimana nella regione di Cordoba, credo sara' estremamente differente dall'accompagnamento precedente, scorteremo membri del consiglio della comunita' in luoghi mai visitati precedentemente e dove vivono famiglie minacciate che chiedono di entrare a far parte della comunita' per poter ottenere la presenza internazionale. Scrivero' al mio ritorno. Anche in questo caso non so fare previsioni, ho solo un po' di fifa.
lunedì 28 maggio 2012
sabato 26 maggio 2012
Senza Parole Adatte
Questi sono stati senza dubbio i sei giorni
più pesanti fino ad ora. Non sono stati difficili per via dell'isolamento,
delle condizioni di vita o peggio ancora per i problemi che si possono essere
verificati a causa del contesto dove mi trovo. A parte la consapevolezza di
essere circondati dai paramilitari e qualche incontro con dei cocaleros si può
dire che è stato un presidio tranquillo, fatto più che altro di condivisione
della vita campesina. Le giornate sono scorse sgranando mais, andando al fiume
con loro a pescare, pilando il riso, cucinando arepas.
Quello che è stato pesante è stato tacere,
accettare i comportamenti altrui. Mi è costato ingoiare la cattiveria e la
scontrosità dell'uomo verso l'altro uomo, dell'uomo verso l'animale.
Siamo tendenzialmente tutti abituati a stare
in ambienti dove coloro che ci circondano vivono per paradigmi; scegliamo i
compagni di vita in base ai loro codici comportamentali e la nostra attitudine
a tollerarne i difetti. In un certo senso siamo viziati. Perciò a tratti mi ha
fatto davvero stare male arrivare alla conclusione che forse io non sono fatta
per questo tipo di organizzazione.
Io non so tacere. Non sono fatta per la non
ingerenza, baluardo dei corpi di pace come questo. Devo agire, parlare,
muovermi, capire. Banalmente devo poter avere la libertà di dire: “con il
dovuto rispetto, che cazzo stai dicendo”.
In questi giorni ho taciuto, schiacciato con
la bocca serrata le mie idee; l'ho fatto per considerazione rispetto al
contesto e alla mia posizione di ignoranza; l'ho fatto per il quieto vivere di
chi lavora con me. So che pare tutto un controsenso detto così ma mi risulta complesso spiegare a parole quanto sia difficile quando si cresce un po' e si
inizia ad avere le proprie idee ed i propri modi, rinunciarvi per
rassegnazione. E' frustrante.
Mi è mancato mio padre, uno stronzo di prima
categoria, pessimo in praticamente tutto, ma che involontariamente mi ha
insegnato a non chiudere la bocca, mai, se dovevo difendere un'idea.
Egoisticamente quello che mi sarebbe servitoi sarebbe stato
essere un po' più stronza; un po' più quindicenne e un po' meno adulta, in
maniera tale da rispondere impulsivamente e a tono ad alcune persone,
campesinos o italiani che siano, che in questi giorni mi hanno fatto venire il
patema d'animo.
Ad un'ora indefinita della notte sono stesa
nell'amaca. Tra i panni appesi per le travi del porticato osservo le stelle che
abbassando lo sguardo si diradano e si trasformano in lucciole. La linea di
separazione tra cielo e terra è un sottile tratto che sfuma il blu in nero e
accarezza le curve delle alture che mi circondano. Le mucche bianche raccolgono
le luci della notte e le riflettono sui fili d'erba ai loro piedi. So che sono
sola e per una volta i miei occhi non hanno voglia di essere lavati dal
contesto. Lo spettacolo che ho davanti è troppo bello per essere vissuto senza
qualcuno accanto, ed io, io stasera sono troppo malinconica e non voglio cedere alla
tentazione di rovinare una meraviglia del genere con un sentimento così razionale,
così immanente come la coscienza della solitudine.
Cerco un diversivo, apro Bukowki e faccio
dondolare l'amaca.
“Ho conosciuto troppi intellettuali di
recente, mi annoiano a morte quegli intelletti preziosi che devono dir diamanti
ogni volta che aprono bocca. M'annoio a dover lottare per ogni alito di vento
che faccia respirare la mente. Ecco perchè mi son tenuto lontano dalla gente
per così tanto tempo. E adesso che vado in società, scopro che devo tornare
nella mia caverna. Ci sono altre cose oltre alla mente: gli insetti, i palmizi,
i macinini di pepe, e io terrò un macinino di pepe nella mia caverna.
Così, allegria.”
“Ma c'è un vecchio proverbio (metto insieme
vecchi proverbi mentre me ne vado in giro stacciato) secondo cui la conoscenza
che non viene seguita dall'azione è peggio dell'ignoranza. Perchè se tiri ad
indovinare e non ci prendi puoi sempre dire, merda gli dei mi sono avversi. Ma
se sai e non fai niente vuol dire che in testa hai soffitte e anticamere buie
da percorre avanti e indietro e a cui pensare. Non è mica una cosa sana,
produce serate noiose, un eccesso d'alcool e seghe.”
“(...)ci incastrano, ci bastonano e ci
fanno a pezzetti fino al rincoglionimento totale; siamo rincoglioniti al punto
che qualcuno finisce per amare i suoi aguzzini perchè questi ci torturano con
metodi che sono assolutamente logici. E' ragionevole dato che in vista non c'è
niente di diverso. Dev'essere così visto che non esiste nient'altro. (…) e per
qualche ragione siamo noi a lasciarceli. Simo noi che costruiamo i nostri
stessi steccati e poi urliamo quando ci lasciamo strappare i genitali dal
guardiano subnormanle che agita la gran croce d'argento (d'oro non c'è più).”
“Camminavo per una strada di cui non
conoscevo il nome. Non sapevo che direzione prendere. Il brutto era che qualche
cosa non quadrava. E non riuscivo a capire che cosa. L'avevo fissa in testa
come una bibbia. Che stronzata senza senso. Che modo di finire al tappeto.
Niente mappa. Niente gente. Niente rumori, solo vespai, pietre, muri, vento. Il
cazzo e le palle che ciondolavano senza emozioni. Avrei potuto gridare per
strada qualsiasi cosa senza che nessuno mi sentisse, senza che nessuno alzasse
un dito. Non si può dire che avrebbero dovuto. Non chiedevo amore. Ma c'era
qualcosa di molto strano. I libri non ne avevano mai parlato, i genitori non ne
avevano mai parlato, i ragni invece sì. Vaffanculo.”
(da Taccuino di un Vecchio Sporcaccione,
Charles Bukowski)
Vittorio
Alla fine, il giorno del nostro arrivo non
c'era nessuno della guerrilla. Dopo un breve passaggio alla cancha per salutare
i membri della comunità ci siamo diretti verso il luogo che ci avrebbe ospitato
per quei cinque giorni. La casa della famiglia di DM. Alla quale dovevamo fare
protezione era troppo piccola ed affollata per ospitarci, così abbiamo deciso
di sistemare amache e relative zanzariere in quella che una volta era la
foresteria per gli internazionali che facevano da scorta, e che si trova poco distante
dall'abitazione di DM.
Ho detto una volta perchè attualmente quel
posto è “abusivamente” occupato da uno dei figli di DM, W, che da qualche hanno
si è auto-esiliato dalla famiglia dopo aver intrapreso una convivenza con G.,
una donna di 10 anni più grande di lui e madre di due figli. La maggiore dei
due, alla tenera età di 16 anni ha avuto un bambino da un altro figlio di DM (e
qui si intuisce perchè le soap operas sono state create in America Latina).
Ricapitolando: W è al contempo zio e bisnonno acquisito del piccolo che a sua
volta è figlio di della sua figliastra nonché cognata. Un macello.
Dato che non c'è limite al peggio, la tensione
umana, che si respirava palpabile nell'aria che riempiva la prateria dove sono
ubicate le due case, era fomentata da uno scenario visivo del tutto che
accogliente.
Poco prima di partire mi è capitato di vedere
un film orrendo di un certo Zombie (nome del regista del tutto rassicurante),
parlava di una famiglia texana realmente esistita negli anni settanta che ha massacrato non so quante decine di persone
conservandone i corpi mutilati in casa.
Ora, immaginatevi una di quelle case da Far
West con i porticati in legno leggermente rialzati da terra ed i tetti in
lamiera. Pensate ad un porcile nel senso letterale del termine, con scrofe che
si aggirano per il portico divorando pannocchie sgranate, merde di gallina
ovunque, pelli di scoiattolo inchiodate alle travi e vestiti da bambino gettati
a terra striati di fango e sporcizia.
Al nostro arrivo tre pappagalli cinguettano
incessantemente alla ricerca di cibo interrompendo un silenzio inquietante.
Approfittiamo dell'assenza degli inquilini per posizionare le amache sotto il
portico facendo attenzione ai buchi della lamiera per evitare spiacevoli
sorprese notturne dovute alle piogge torrenziali. Ad un certo punto uno dei due
volontari che sono con me mi fa: “Tu che parli di cani pelle ed ossa, vieni a
vedere questo”.
E' così che l'ho visto per la prima volta,
l'omologo canino di un prigioniero di Aushwitz eranascosto sotto le assi del
porticato. Le orecchie grandi come quelle del mio White e due occhi tra il
giallo e il marrone incredibilmente belli e sorprendentemente vivi. Non un filo
di carne, una zampa posteriore devastata da un'infezione mai curata dovuta ad
un lancio volontario di machete.
Tiro fuori un pacchetto di biscotti avanzato
dal cammino. Lo divora.
Guardo il volontario: “Non è che gli daresti
anche il tuo se non l'hai mangiato?”.“Io veramente farei volentieri merenda e
poi detto sinceramente non credo che gli servano a molto i miei biscotti”. Ha
ragione lui penso, non avrei risposto lo stesso ma non lo posso biasimare. Poi
rincara: “Comunque mi sa che te la devi mettere via che prima o poi qui lo vedi
un cane che ci rimane”.
Abbasso lo sguardo, giro l'angolo, trovo una
cassetta di plastica vuota e inerme, la calcio con tutta la forza che ho in
corpo. Posso accettare che in questo contesto centinaia di animali muoiano per
malattie banali non curate per assenza di veterinari, ma no, non mi metto via
che un essere vivente ne lasci crepare un altro di fame. Torno indietro,
accendo una sigaretta e mi rivolgo alla capa “Scusa ma perchè non lo
ammazzano?”, “Mah guarda era così anche un mese e mezzo fa, uccidere un cane in
Colombia porta mala suerte solo che si vede che non pensano possa più essergli
utile con la gamba così”. Penso figli di puttana, dico “Bastardi”.
“Bhe scusa ma perchè non te lo porti in Italia
se ti prende così male” dice lei in tono serio e vagamente provocatorio, “Mi
sembra un tantino esagerato comunque se l'alternativa è lasciare che questi
continuino questa tortura...”, “Ce li avresti i soldi per farlo curare ad
Apartadò?”, “Non lo so, ma posso chiedere in Italia, se si fa colletta a tirare
su 100 euro ci metto due secondi, più che altro mi accordi il permesso di
portarlo al campo base finchè non capisco come curalo?”, “Ah se te ne occupi
tu...”.
Mi ero cacciata in una cosa più grande di me
ma non credo sarei riuscita a fare altrimenti, tanto più che dopo poco mi sono
trovata davanti ai “padroni” di quel cane, alias la Famiglia Adams, che in
maniera divertita mi spiegavano che era il cane che non mangiava e che loro una
volta ogni due tre giorni gli davano gli avanzi del riso, che l'avevano anche
purgato ma evidentemente era proprio il cane che non ne voleva sapere.
Non ho neanche finito di ascoltare quello che
dicevano alla capa intenta a fargli la morale. Sono ritornata da lui, l'ho
guardato ed istintivamente gli ho detto “Vittorio adesso ci penso io a te”. E
lui, a dimostrazione che gli animali a volte pur non parlando insegnano, si è
alzato in piedi ed ha scacciato due maiali che si avvicinavano alle galline che
mangiavano. Come a dire che era ancora utile.
L'ho chiamato Vittorio come un ragazzo
ammazzato un anno fa mentre lottava assieme ad un popolo che pur non essendo
il suo da morto gli ha dimostrato più gratitudine che il nostro. Un
ragazzo ucciso perchè credeva in quella resistenza e nel
diritto alla terra che la alimenta. Un uomo che come altri ha fatto del suo
esporsi, della non passività, la sua tomba.
Vittorio ripeteva spesso una frase: Restiamo
Umani. Ed è tutto ciò che ho pensato davanti a quel cane, a quelle persone che
per un istante con il loro cinismo e distacco dall'umanità mi stavano facendo
ribollire il sangue portandomi alla reazione sbagliata.
Jungle Boogie
Non credevo che il mio corpo potesse sudare
così tanto; che per sette ore di cammino sotto un sole da 35 gradi mi
bastassero un litro d'acqua, due caramelline alla frutta, una barretta di
cioccolato e un piccolo panino al prosciutto e formaggio. Non pensavo che sarei
stata in grado di cavalcare una mula per i sentieri della selva; a dire la
verità, per diversi momenti, non credevo, non ponderavo: ero sicura che non ne
sarei uscita viva.
L'ultima volta che ho scritto dicevo che non
potevo immaginarmi cosa significasse attraversare a piedi certe zone: confermo.
Sei lì per il sentiero, che in alcuni tratti la pioggia ed il fango hanno reso
invisibile, e di fatto metti un piede dietro a quell'altro in maniera
automatica, stando attenta a non rimanere cementata nel pantano, chiedendoti se
quella deviazione arbitraria di mezzo metro ti farà saltare in aria come
coriandoli a carnevale.
Alla guerrilla, ai paracos, in quei momenti
non ci pensi. Almeno io. Certo stai in guardia, ma non è la tensione che hai in
un accompagnamento in città, quando sai che la persona che stai scortando può
essere ammazzata da una qualsiasi delle decine che ti camminano attorno. Sei
solo in mezzo alla jungla. Personalmente pensavo: “Che si fottano. Se sono
piazzati da qualche parte per un'imboscata non sarà certo il mio radar e la mia
faccia sconvolta dalla fatica a fermarli”.
Quando le parti di salita terminavano e
cessavo di maledire il mio tabagismo, ne approfittavo per guardarmi attorno.
Parliamoci chiaro: quante volte capita ad una persona della mia realtà di
attraversare parti di selva colombiana a piedi? In questo sono bambina forse,
ma adoro farmi lavare gli occhi e l'umore dal contesto che mi circonda;
soprattutto quando questi occhi e questo umore sono incupiti perché le persone
che sono con me sono il mio opposto. Non sembrano stupirsi, non hanno voglia di
raccontare, di farsi raccontare.
Perciò quando la noia mi pervadeva, io mi
perdevo nella natura, nell'immaginazione che risveglia e le associazioni
mentali che crea. Osservavo le foglie mangiate dagli insetti, che sembravano
quegli orribili centrini che le nonne si ostinano a mettere sui vassoi da caffè
senza capire che i vassoi da caffè servono per rovesciare il caffè senza
sentirsi in colpa; mi facevo stupire dalle liane, che porca miseria esistono
davvero ma non sono marroni e lisce come nei cartoni, bensì rosacee e spugnose
come quei separè anni settanta all'ingresso dei macellai, solo quattro volte
più grosse. Mi stranivo nel notare la similitudine tra il frinire di alcune cicale
enormi e il rumore delle segatrici nelle falegnamerie, o quello in garage a
Pellizzano, quando i fratelli P. si mettevano in testa di costruire mensole e
mobili immancabilmente sbagliati di misura.
Infine, quando i miei pensieri maligni
diventavano troppo maligni (cosa al quanto probabile nel momento in cui sei una
ciacolona e per 7 ore le due persone che sono con te non proferiscono parola e
non ridono a mezza battuta), e la fantasia sembrava essere esaurita come le mie
ghiandole sudorifere, immaginavo che due avocados giganti cadessero dagli
alberi e colpissero tutti in testa
rincoglionendoli temporaneamente dandomi la possibilità di fare cio' per cui
sono nata: cabaret. Tipo mettermi in
mutande e reggiseno, far partire la musica e parodiare il video di “Waiting for
tonight” di Jennifer Lopez.
Avevo pensato tutto (di tempo ce ne era): Nando, il
ragazzo colombiano che era con noi, come primo ballerino sporco di fango;
guerrilla e paramilitari che subentrano al primo ritornello come corpo di ballo
e che nel momento clou fanno partire qualche granata, tanto per darla in barba
al laser verde del video originale*.
Ed è così che mentre mi immaginavo di essere
J.Lo e mi chiedevo perchè dovevo essere io quella che nelle ultime tre ore era
stata dietro alla mula petomane, siamo arrivati alla vereda.
In un istante l'idea di proporre una
sceneggiatura a Ben Stiller è stata scalzata dalla realtà. La gente era riunita
attorno alla cancha per una partita di
calcio. La capa si gira: “Ragazzi state in occhio. Guardate bene se e quanta
gente è armata. Non sarebbe la prima volta che la guerrilla scende per la
partita del sabato”.
venerdì 18 maggio 2012
Proxima Estacion Esperanza
Domani parto e staro' via per una settimana. Vado a fare presenza in una vereda che ha il nome di questa stazione a cui Manu Chao ha dedicato una canzone. La situazione e' critica, come ovunque del resto; li', in particolare, i paramilitari hanno un accampamento a quindici minuti e la guerrilla e'anch'essa poco distante. Non avvengono scontri frontali perche' il motivo della loro presenza e' il controllo sulle piantagioni di coca. Quando la situazione e' questa chi rischia di piu' sono i campesinos, come quelli della vereda dove andro', che si trovano in territori di passaggio e che vengono accusati di rifornire o appoggiare una o l'altra fazione. Avere la peggio vuol dire essere ricattati, arrestati o, piu' semplicemente, essere ammazzati.
Per raggiungere la vereda ci vogliono circa 7 ore di cammino, saremo tre internazionali, un membro della comunita' e una mula da cavalcare quando le gambe non ce la faranno piu'.
Mentre scendevo qui in citta' per fare le comunicazioni sul nostro spostamento all'esercito, all'organo di tutela dei diritti umani e alla polizia locale, e me ne stavo sul tetto del chivero stracolmo cercando di non volare giu' dalla scarpata, pesavo a cosa scrivere prima di congedarmi.
Opto per l'onesta', dopo un secondo ho smesso di pensarci. Chi diavolo lo sa che cosa vuol dire attraversare la jungla a piedi sapendo che attorno a te ci sono mine antiuomo inesplose, campi di coca con annesse raffinerie della guerrilla e paramilitari armati fino ai denti? A ver...
Ho stretto le mani al porta pacchi e mi sono vista da fuori; sola sul tetto di una gip in mezzo ai sacchi di avocados, ho lasciato andare il contesto politico e mi sono persa nella natura che sfrecciava ai miei fianchi, mi sono gongolata in quel verde, ho penstao che non potevo essere altrove e come sempre nella mia vita, nella mia testa e' partita una canzone.
http://www.youtube.com/watch?v=fIc1CLp2ilo&feature=fvwrel
Per raggiungere la vereda ci vogliono circa 7 ore di cammino, saremo tre internazionali, un membro della comunita' e una mula da cavalcare quando le gambe non ce la faranno piu'.
Mentre scendevo qui in citta' per fare le comunicazioni sul nostro spostamento all'esercito, all'organo di tutela dei diritti umani e alla polizia locale, e me ne stavo sul tetto del chivero stracolmo cercando di non volare giu' dalla scarpata, pesavo a cosa scrivere prima di congedarmi.
Opto per l'onesta', dopo un secondo ho smesso di pensarci. Chi diavolo lo sa che cosa vuol dire attraversare la jungla a piedi sapendo che attorno a te ci sono mine antiuomo inesplose, campi di coca con annesse raffinerie della guerrilla e paramilitari armati fino ai denti? A ver...
Ho stretto le mani al porta pacchi e mi sono vista da fuori; sola sul tetto di una gip in mezzo ai sacchi di avocados, ho lasciato andare il contesto politico e mi sono persa nella natura che sfrecciava ai miei fianchi, mi sono gongolata in quel verde, ho penstao che non potevo essere altrove e come sempre nella mia vita, nella mia testa e' partita una canzone.
http://www.youtube.com/watch?v=fIc1CLp2ilo&feature=fvwrel
Riflettendo dalla palla alla pala
L'altro giorno verso l'ora di pranzo ero
seduta sulla panchina di fronte a casa. Alla mia partenza, per quanto io abbia
cercato di risolvere, ho lasciato delle questioni, dei rapporti in sospeso.
Amici, persone che conosco da anni, con i quali da un giorno all'altro è calato
il silenzio.
Sono entrata, ho preso una sigaretta Caribe e
sono uscita nuovamente continuando a pensare. Nella mattinata avevo avuto modo
di parlare con un'amica in Italia di un recente caso di mutismo che ha
inevitabilmente riaperto questa piaga.
Nervosamente tiravo la sigaretta riflettendo
sul fatto che faccio sempre più fatica a dire di un uomo: “questo ha le palle”.
Avere gli attributi a mio avviso è qualcosa che esula dalla classica
connotazione machista, significa assumersi la responsibilità delle proprie
azioni, dei propri pensieri. Significa saperli motivare confrontandosi senza
riserve perchè si crede in ciò che si sta facendo, nella sua buona fede anche
nell'errore. Quindi per quale ragione alcune persone spariscono “senza addurre
spiegazioni plausibili” se non per assenza di palle? A volte, quando
interpellate dalla mia cocciutaggine, mi hanno risposto che erano concentrate
su cose differenti, altre che semplicemente non ne avevano voglia.
La sigaretta era quasi finita e pensavo che se
mai lasciassi andare un rapporto per assenza di tempo o di voglia le
possibilità potrebbero essere due: o quel rapporto non era abbastanza
importante e però se dall'altra parte generassi una delusione significherebbe
che per tutto il tempo in cui quel rapporto è esistito c'è stata una
dis-comunicazione; oppure vorrebbe dire che sono diventata una che dà modo alla
vita di fottere la sua esistenza che, ad oggi che mi reputo ancora “pura”, non
sarebbe tale senza le persone che hanno camminato con me fino a qui. Dò
l'ultimo tiro e mi viene in mente una frase di John Lennon: “la vita è
quello che ti sta succedendo mentre tu ti impegni a fare altri piani”.
Spengo la cicca tra l'amareggiato e il
consapevole, alzo lo sguardo e vedo che dal cancello della comunità entrano
alcuni ragazzi che portano a peso un lenzuolo bianco.
Man mano che si avvicinano noto delle macchie
rosse nella parte superiore. Mi passano davanti e capisco che quel peso è un
corpo, che quel rosso è sangue.
La signora Mita aveva più di ottant'anni ed
era la mamma di Irene “la gorda”, proprietaria di una bottega nel paese vicino.
Ogni giorno si diceva che Mita facesse quasi un chilometro a piedi per portare
cibo da una vereda all'altra. Quella mattina, complice il fango tipico della
stagione delle piogge, la signora è scivolata spaccandosi la testa su un sasso.
Se ne è andata in un'ora, senza nemmeno dare il tempo di portarla in ospedale.
I ragazzi della comunità la stavano
trasportando nel chiosco del villaggio, lo stesso dove la sera precedente si
aveva rumbeado fino alle due del mattino per festeggiare la Fiesta de las
madres.
Le persone da quel momento hanno cominciato un
incessante pellegrinaggio per salutare la senora Mita. Non era l'ultimo saluto
come lo intendiamo noi, fatto di volti scuri talvolta forzati. I bambini
correvano e giocavano attorno al chiosco mentre le madri dicevano una preghiera
o facevano due chiacchere. I leaders della comunità dall'autoparlante
reclutavano volontari per scavare la fossa in quel pezzo di jungla poco fuori
dal villaggio adibito a cimitero. Per tutta la notte le luci sono rimaste
accese mentre gli uomini, cinti attorno alla salma, giocavano a domino dandosi
il cambio per non lasciarla sola.
Il giorno successivo abbiamo partecipato al
funerale. E' stata una scena alla Amici Miei: la fossa scavata il giorno
precedente era piena di acqua piovana; le grida di dolore delle nipoti venivano
coperte dalle suonerie per cellulari più di cattivo gusto della storia; la
signora Irene guardava impazientemente l'ora per il timore che si facesse
troppo tardi per rincasare. Il buio è sceso tra i banani del cimitero mentre
venivamo docciati dalle secchiate d'acqua e fango che grossolanamente
eruttavano dalla fossa per far posto alla bara. Le risate venivano lasciate
uscire libere, senza il timore di risultare fuori luogo.
Sul sentiero verso casa, mentre alzavo il naso
per vedere le stelle, pensavo alla signora Laura. La vecchia che abitava sopra
casa dei miei e mancata qualche mese prima della mia partenza. La signora Laura
è stata la prima ad insegnarmi i canti partigiani; indimenticabili i suoi
cracker Doriano con il salame a metà pomeriggio, le caramelle al limone
comprate all'alimentare di via Castiglione e tagliate con il coltello per non
farci soffocare.
Le tre notti precedenti al suo funerale i
parenti l'hanno lasciata sola, con una semplice luce accesa e la finestra della
sala lasciata socchiusa. Ricordo che una di quelle sere, rincasando un po'
brilla alle quattro del mattino, ho spalancato la finestra e ho messo a tutto
volume “Quel mazzolin di fiori” e “Bella Ciao”; l'ho fatto per tigna, per
sentirmi meno sola, perchè si sentisse meno sola.
Le stelle si moltiplicavano tanto da
affaticare gli occhi e io riflettevo:
forse il senso di una vita di comunità è anche questo. Se il dolore di
uno diventa il dolore di tutti, se lo si condivide, è possibile che la sua
intensità si attenui? La compassione accelera il tempo di recupero da una
sofferenza?
giovedì 10 maggio 2012
Stomaco D'Acciaio
La scorsa settimana ho fatto il mio primo accompagnamento ad Apartado'. Il Capo, come lo chiamiamo tra di noi al telefono per evitare che l'esercito ci intrecetti e passi le informazioni ai paracos, doveva andare in banca per prelevare del denaro. Eravamo in tre, che in questi casi significa due persone ai fianchi del Capo ed una dietro a proteggergli le spalle. Durante il viaggio in chivero dalla comunita' alla citta' bisogna controllare se delle moto seguono il mezzo, mentre se si incontrano blocchi dell'esercito e lui viene fatto scendere, noi scendiamo con lui e ci assicuriamo che non vengano violate le leggi Colombiane in materia di trascrizione dati personali.
La tensione si e' alzata dopo che nel 2008, fuori dall'internet point nel quale sto scrivendo, due sicari l'hanno aspettato con la pistola gia' estratta. Prontezza di riflessi ha voluto che il Capo se ne accorgesse e con un guizzo rintrasse nel locutorio per chiedere aiuto ad un internazionale ospite della comunita' in quel momento. Piu' recentemente poi, per l'esattezza a Marzo di quest'anno, in seguito ad un'operazione bancaria di una certa portata, due individui in moto gli si sono avvicinati, l'hanno rapinato minacciandolo con una pistola e prima di andarsene hanno fatto esplodere un colpo che fortunatamente l'ha mancato.
Quando siamo arrivati alla banca lui e' entrato e noi l'abbiamo atteso fuori, attenti alle persone che sostavano all'uscita, seguendolo con lo sguardo tra le vetrate dell'edificio mentre faceva la fila.Quel giorno il prelievo non e'andato a buon fine. Cosi' abbiamo lasciato la banca e a piedi l'abbiamo scortato prima in ferramenta e poi in un centro spedizioni. Per tutto il tragitto ho guardato ogni moto, ogni persona all'altezza della cinta per vedere se sbucava una pistola. Continuavo a chiedermi se fosse meglio stargli dietro e non al lato, visto che ero la piu' alta; se non era piu' intelligente che qualcuno facesse protezione da davanti...
Tutto e' andato tranquillo, forse anche perche' ciascuno di noi, Capo compreso, sapevamo che lui non aveva grosse somme di denaro che potessero giustificare un attacco. Eravamo cosi' "sereni" che ci siamo seduti ad una panaderia per bere un succo fresco e fare colazione prim di risalire alla comunita'.
A un certo punto il Capo fa un cenno con la testa ad una coppia, un signore e una signora, che stavano seduti nel tavolino vicino al nostro. La volontaria con piu' esperienza lo guarda e gli chiede: "Capo ma e' un tuo amico davvero?", un cenno con la testa in segno di assenso e ha continuato a sorseggiare.
Dopo cinque minuti, mentre osservavo il carretto di manghi all'angolo della strada, ho sentito un rumore strano, metallico, come se qualcuno avesse preso un cassonetto della spazzatura vuoto e l'avesse ribaltato dal primo piano. Ho spostato lo sguardo sulle persone in piedi: due signore con le buste della spesa si sono affacciate nella carreggiata guardando in direzione della strada che porta al terminal dei chiveros. Poi ho spostato lo sguardo al mio tavolino: il capo leggeva il giornale e i mei compagni fissavano il vuoto con la cannuccia tra le labbra assetate. Ho pensato di essere una paranoica, e ho rimesso nel cassetto l'idea di chiedere il permesso di alzarmi per vedere cosa era successo.
Finita la colazione, qualcosa come dieci minuti dopo, ci siamo alzati per andare verso il terminal. Sul marciapiede sinistro due camionette della polizia impedivano il passaggio; "Allora vedi che era successo qualcosa!", la mia frase cade nel vuoto. Quella strada e' molto pericolosa, meglio rimanere concentrati e darsi una mossa.
Ieri mattina, mentre io ero impegnata a fare una flebo per via di una doppia infezione a fegato e vie urinarie che mi sta dannando il corpo da sabato, i miei compagni sono stati impegnati in un accompagnamento al Capo per portare a termine l'operazione cominciata la settimana precedente.
Quando sono tornati mi hanno detto che quel fatidico giorno, il signore che il Capo aveva salutato alla panaderia, dopo essersi alzato e diretto verso il terminal con la sua compagna, e' stato raggiunto a piedi da un uomo che ha estratto una pistola. Nello strattonarlo per allontanare l'arma dal suo corpo, l'amico del Capo si e' salvato la vita rimediando un proiettile nello stomaco, evitando che quello stesso proiettile arrivasse al cuore o alla testa. Ora e' ricoverato in ospedale ma e' fuori pericolo.
Nessuno ha fatto niente, nessuno ha visto niente. Le signore con le buste della spesa, si sono guardate e hanno fatto spalluccie. Il Capo ha letto il giornale. I miei compagni si dissetavano. Io ho pensato di essere paranoica. Non e' superficialita', non e' cattiveria: e' Colombia. Quello che significa vivere in un paese dove uno sparo ha la frequenza che da noi ha un cassonetto vuoto ributtato a terra dalla nettezza urbana.
La tensione si e' alzata dopo che nel 2008, fuori dall'internet point nel quale sto scrivendo, due sicari l'hanno aspettato con la pistola gia' estratta. Prontezza di riflessi ha voluto che il Capo se ne accorgesse e con un guizzo rintrasse nel locutorio per chiedere aiuto ad un internazionale ospite della comunita' in quel momento. Piu' recentemente poi, per l'esattezza a Marzo di quest'anno, in seguito ad un'operazione bancaria di una certa portata, due individui in moto gli si sono avvicinati, l'hanno rapinato minacciandolo con una pistola e prima di andarsene hanno fatto esplodere un colpo che fortunatamente l'ha mancato.
Quando siamo arrivati alla banca lui e' entrato e noi l'abbiamo atteso fuori, attenti alle persone che sostavano all'uscita, seguendolo con lo sguardo tra le vetrate dell'edificio mentre faceva la fila.Quel giorno il prelievo non e'andato a buon fine. Cosi' abbiamo lasciato la banca e a piedi l'abbiamo scortato prima in ferramenta e poi in un centro spedizioni. Per tutto il tragitto ho guardato ogni moto, ogni persona all'altezza della cinta per vedere se sbucava una pistola. Continuavo a chiedermi se fosse meglio stargli dietro e non al lato, visto che ero la piu' alta; se non era piu' intelligente che qualcuno facesse protezione da davanti...
Tutto e' andato tranquillo, forse anche perche' ciascuno di noi, Capo compreso, sapevamo che lui non aveva grosse somme di denaro che potessero giustificare un attacco. Eravamo cosi' "sereni" che ci siamo seduti ad una panaderia per bere un succo fresco e fare colazione prim di risalire alla comunita'.
A un certo punto il Capo fa un cenno con la testa ad una coppia, un signore e una signora, che stavano seduti nel tavolino vicino al nostro. La volontaria con piu' esperienza lo guarda e gli chiede: "Capo ma e' un tuo amico davvero?", un cenno con la testa in segno di assenso e ha continuato a sorseggiare.
Dopo cinque minuti, mentre osservavo il carretto di manghi all'angolo della strada, ho sentito un rumore strano, metallico, come se qualcuno avesse preso un cassonetto della spazzatura vuoto e l'avesse ribaltato dal primo piano. Ho spostato lo sguardo sulle persone in piedi: due signore con le buste della spesa si sono affacciate nella carreggiata guardando in direzione della strada che porta al terminal dei chiveros. Poi ho spostato lo sguardo al mio tavolino: il capo leggeva il giornale e i mei compagni fissavano il vuoto con la cannuccia tra le labbra assetate. Ho pensato di essere una paranoica, e ho rimesso nel cassetto l'idea di chiedere il permesso di alzarmi per vedere cosa era successo.
Finita la colazione, qualcosa come dieci minuti dopo, ci siamo alzati per andare verso il terminal. Sul marciapiede sinistro due camionette della polizia impedivano il passaggio; "Allora vedi che era successo qualcosa!", la mia frase cade nel vuoto. Quella strada e' molto pericolosa, meglio rimanere concentrati e darsi una mossa.
Ieri mattina, mentre io ero impegnata a fare una flebo per via di una doppia infezione a fegato e vie urinarie che mi sta dannando il corpo da sabato, i miei compagni sono stati impegnati in un accompagnamento al Capo per portare a termine l'operazione cominciata la settimana precedente.
Quando sono tornati mi hanno detto che quel fatidico giorno, il signore che il Capo aveva salutato alla panaderia, dopo essersi alzato e diretto verso il terminal con la sua compagna, e' stato raggiunto a piedi da un uomo che ha estratto una pistola. Nello strattonarlo per allontanare l'arma dal suo corpo, l'amico del Capo si e' salvato la vita rimediando un proiettile nello stomaco, evitando che quello stesso proiettile arrivasse al cuore o alla testa. Ora e' ricoverato in ospedale ma e' fuori pericolo.
Nessuno ha fatto niente, nessuno ha visto niente. Le signore con le buste della spesa, si sono guardate e hanno fatto spalluccie. Il Capo ha letto il giornale. I miei compagni si dissetavano. Io ho pensato di essere paranoica. Non e' superficialita', non e' cattiveria: e' Colombia. Quello che significa vivere in un paese dove uno sparo ha la frequenza che da noi ha un cassonetto vuoto ributtato a terra dalla nettezza urbana.
20 Minuti di ordinaria follia. Ovvero: flusso di coscienza di un fegato infiammato
ore 2.30 del mattino:
Merda-Cazzo-Dio che dolore-Ma che e'?-Ne prendo due di ste pastiglie del c***o tanto non fanno una s**a-Se ero a Bologna mi fecevo una canna sicuro sentivo di meno-Pensa il parto-Col c***o che faccio il parto naturale-Adesso faccio un cruciverba cosi' mi distraggo-Questo che e' piccolo perche' non ce la posso fare-No p***a t***a, non riesco a stare seduta-Vabbe' cammino- 'Ndo c***o vado?-Ma che minchia ci fanno in giro sti m***a di cavalli a quest'ora?-Quand'e' che fa effetto 'sta roba?-Allora sono cosi' tutti quegli statunitensi che dicono che vanno in rehab per dipendenza da antidolorifici,bhe pensavo fossero tutti dei gran c******i ma ora li capisco-Dio sto ragionando come una gringa- No col cazzo, dai vecia respirazione yoga- Dentro col naso, fuori con la bocca- Dentro, fuori- Dentro, fuori-Dentro, fuori- Comunque uno nel dolore oh, e' sempre solo come un cane-Mica perche sono in Colombia poi-Se c'era il mio ex sicuro che era al mio fianco nel letto che russava-Amore una s**a, poi loro quando c'hanno l'influenza, due placche...-Dentro, fuori- Dentro, fuori- Oh questa, questa: la miglior difesa al dolore e' l'essenza della vita stessa: l'aria- Quando inspiro fa meno male- Vedi che fa'lo yoga, ha ragione la Scarpa, gia' mi sento meglio- Dovevo scrivere i biglietti dei baci Perugina- Ma chi c***o li scrivera'?-Google-Dentro, fuori- Dentro, fuori-Bona e' andata-Adesso non c'ho piu sonno pero' dai, meglio-Comunque sto Buscofen tarocco fa di brutto.
martedì 8 maggio 2012
La Comunita' degli Animali
A volte accade che in situazioni di estrema tensione, o al contario, di estremo piattume, l'unica risorsa sia la fantasia. L'ironia che sfugge il tempo e il contesto. Cosi' perdonatemi, ma utilizzero' questa pagina per condividere il volo pindarico che mi sono fatta complice il trentanove di febbre che mi ha accompagnato i giorni passati.
In terra di guerrilla e paramilitari, nel pieno della lotta armata per il controllo sulla terra ai danni dei campesinos, esiste una comunita' che in maniera pacifica ma strutturata cerca di resistere al dilagare delle violenze.Tuttavia, in seguito alla lettura di un libro lasciato da un internzaionale e scritto da un tale Orwell, chiamato "La Fattoria degli animali", un frangente deviato inizio'ad insinuarsi all'interno della comunita'.
Accadde che gli animali, stanchi del massacro messo in atto dalla specie umana, orripilati dallo sfruttamento delle loro risorse, stufi di essere investiti da delle macchine infernali e di saltare in aria a causa delle mine, decisero di comune accordo di ribellarsi. E poco importava a loro se la comunita' si dichiarava pacifica ed estranea al conflitto; erano dichiarazioni di uomini per altri uomini, non vi erano accenni agli abusi sugli animali.
Chi sia stato l'ideatore di tale sommossa non e' dato certo, tuttavia tutto lascerebbe pensare che si tratti di Don Pepe, l'unico tra tutti gli animali della comunita' a saper leggere ed avere libero accesso ai libri degli internazionali negli orari notturni quando essi dormono.
Don Pepe e' un gatto tigrato adottato dagli internzaionali per scacciare i topi che infestano la loro capanna, decisamente occidentalizzato, non abbandona mai il campo base tranne che per due ore nel tardo pomeriggio senza dare segnali su cio' che sta andando a fare. E' molto probabile che quel tempo lo impieghi per coordinare i lavori, del corpo ribelle composto come segue:
In terra di guerrilla e paramilitari, nel pieno della lotta armata per il controllo sulla terra ai danni dei campesinos, esiste una comunita' che in maniera pacifica ma strutturata cerca di resistere al dilagare delle violenze.Tuttavia, in seguito alla lettura di un libro lasciato da un internzaionale e scritto da un tale Orwell, chiamato "La Fattoria degli animali", un frangente deviato inizio'ad insinuarsi all'interno della comunita'.
Accadde che gli animali, stanchi del massacro messo in atto dalla specie umana, orripilati dallo sfruttamento delle loro risorse, stufi di essere investiti da delle macchine infernali e di saltare in aria a causa delle mine, decisero di comune accordo di ribellarsi. E poco importava a loro se la comunita' si dichiarava pacifica ed estranea al conflitto; erano dichiarazioni di uomini per altri uomini, non vi erano accenni agli abusi sugli animali.
Chi sia stato l'ideatore di tale sommossa non e' dato certo, tuttavia tutto lascerebbe pensare che si tratti di Don Pepe, l'unico tra tutti gli animali della comunita' a saper leggere ed avere libero accesso ai libri degli internazionali negli orari notturni quando essi dormono.
Don Pepe e' un gatto tigrato adottato dagli internzaionali per scacciare i topi che infestano la loro capanna, decisamente occidentalizzato, non abbandona mai il campo base tranne che per due ore nel tardo pomeriggio senza dare segnali su cio' che sta andando a fare. E' molto probabile che quel tempo lo impieghi per coordinare i lavori, del corpo ribelle composto come segue:
- le sentinelle: trattasi degli altri gatti della comunita'che girano di casa in casa e tengono al corrente Don Pepe sull'ingresso di eventuali nuovi animali all'interno della comunita', in particolare perche' in tal caso l'opera d'indottrinazione sul CAA (CUERPO AUTODIFENSAS ANIMAL) deve avvenire in tempi rapidi.
- i fedelissimi: i cani, coloro che sono sempre aggiornati sugli spostamenti degli umani e possono avvisare Don Pepe su eventuali cambiamenti nelle loro routine giornaliere.
- il saggio: il cavallo bianco di un eleganza sublime che ogni mattina alle 5 solca la brina della vereda facendo un giro tra le capanne senza emenare un suono, se non quello dei suoi zoccoli, per controllare che tutto sia in ordine.
- la fanteria: galli, galline, anatre e tacchini. I primi ogni mattina danno inizio alla parte di giornata dedicata al lavoro sotto copertura. I restanti portano all'esaurimento la specie umana attraverso il loro gracchiare (o qualsiasi sia il nome del suono che fanno sti animali, non ce l'ho mai avuto io quel gioco li' da piccola), l'esaurimento a sua volta consente un abbassamento della soglia di attanzione che agevola il contrattacco animale.
- i corazzati. sono di diversi tipi: scrofe, maiali, porcellini mimetici maculati.Durante la giornata si aggirano per le capanne seminando feci che obbligano gli umani a passaggi obbligati sui quali inconsapevoli verranno attaccati dalle armi di distruzione di massa.
- la cavalleria. diversamente dagli eserciti umani, nella cavalleria animale si fanno rientrare: cavalli, asini, mule, vacche e tori. Il loro ruolo e' quello di trasportare le armi di distruzioni di massa e rilasciarle sul terreno affinche' attacchino l'essere umano su vari fronti.
- le armi di distruzione di massa: le zecche. Piccole, nere, all'apparenza insulse, le zecche portano nella loro dolce pancia la creme de la creme delle infezioni animali. Queste intelligentissime bestiole si attaccano al bipede per eccellenza e ne succhiano il sangue fino allo sfinimento. Un loro attacco provoca, ad esempio, stati febbricitanti al limite dell'allucinazione, infezioni veneree, schifo.
- i servizi segreti: il colibri'. Nella tradizione colombiana il si dice che il colibri, quando ti si avvicina, ti sta dicendo che qualcuno verra' presto a farti visita. E noi umani, che ci piacciono tanto queste cazzate, via tutti a casa ad aspettare la venuta del Signore. In realta' Don Pepe studio' questa cosa per agevolare il compito della folgore.
- la folgore: i serpenti volanti. Di fatto questi serpenti non hanno le ali pero' hanno la capacita' di lasciarsi cadere dalle travi di legno che sorregono la lamiera del soffitto. Come la folgore si lanciano: se gli dice bene cadono in testa dell'essere umano e lo mordono al collo dandogli 20 minuti per salutare chi ha attorno, altrimenti si mettono a girare per casa senza pieta'. Non e' una gag, mi e' successo tre giorni fa'.
Per la mia Bea: http://www.youtube.com/watch?v=DevAizeAdfg
E mori' con un bananito in mano
La settimana scorsa vi scrivevo degli interrogativi che accompagnavano il mio atterraggio ad Apartado' (a dire il vero erano piu' provocazioni che altro) e ieri, come tante altre volte gia' nella mia vita, quanto appreso da Mama Afrika si e' verificato.
La prima volta che sono andata in Kenya infatti, un padre comboniano che miracolosamente riusci' a varcare i pregiudizi che ho nei confronti della chiesa, mi disse che un saggio masai una volta gli insegno' quanto segue:
"Le risposte alle domande della vita, a quelle che martellano la testa ora che siete in una terra nuova, a voi completamete sconosciuta, non arrivano mai un secondo dopo la loro formulazione. Le risposte a tali domande arrivano quando meno ce lo si aspetta, spesso senza che neppure ce ne accorgiamo". Poi il masai aggiunse: " Non bisogna mai fare l'errore di sottovalutare la saggezza della terra, della storia, del fato".
E' cosi che ieri, mentre ero in una clinica attendendo di fare degli esami, apro la "Chiva di Uruba"; un giornale che per spessore potrebbe essere paragonato al "Resto del Carlino" o all' "Alto Adige". Uno di quei giornali dove il morto e le nuove tendenze in citta' sono sempre in prima pagina, con l'unica differenza che ieri sulla prima pagina dell Chiva c'era il primo piano di un uomo con la guancia perforata da un proiettile.
Ognimodo, mi affretto a cambiare pagina perche' di morti ammazzati proprio non ho voglia di vederne, almeno oggi; ed ecco che trovo la risposta al secondo interrogativo di cui dicevo all'inizio:
"Come possono le piantagioni di banane delle multinazionali contribuire alla lotta al narcotraffico?"
Nel 2007 la Chiquita Brand, principale distributore di banane degli U.S, all'insaputa mia e credo della maggioranza di voi, e' stata multata per 25 milioni di $ dal Dipartimento di Giustizia Americano per aver pagato gruppi paramilitari (AUC) nella regione di Uruba' al fine di "proteggere" gli impiegati delle sue piantagioni.
Fu di fatto dimostrato che dal 1997 al 2004 la Chiquita verso' alle AUC 1,7 milioni di $ per sfollare i contadini e le famiglie residenti nei territori circostanti le piantagioni e far guadagnare cosi' alla multinazionale sempre piu' acri di terra. Al termine di tale operazione, condotta con la solita ortodossia che contraddistingue i gruppi paramilitari colombiani, 173 famiglie sono state irrimediabilmente segnate in maniera fisica, materiale e psicologica.
Nonostante Chiquita si sia dichiarata colpevole e abbia versato la somma richiesta dal Dipartimento di Giustizia Americano, la Fiscalia Colombiana (il corrispondente organo nazionale) ha fatto archiviare il caso per carenza di prove. Sara' una casualita', ma tra gli indagati compare Raul Emilio Hazbur Mendoza, alias Pedro Bonito, un ex capo paramilitare e proprietario bananero che, sempre per casualita', e' anche accusato di concorso in associazione finalizzata al narcotraffico in un altro processo.
Paul Wolf, avvocato di Washington esperto di diritti umani, sta preparando una causa civile contro Chiquita Brand senza precedenti economici, l'obiettivo e' quello di risarcire, almeno economicamente, i familiari delle vittime che di quei 25 milioni di $ non hanno visto neanche mezzo centesimo. Per fare cio' Wolf sta tentando di dimostrare come nonostante le azioni delle AUC siano state svolte in Colombia, gli accordi tra esse e la multinazionale siano stati presi negli U.S. Se questo riuscira' ad essere dimostrato (e Wolf a sopravvivere, aggiungerei), la Chiquita sarebbe colpevole di una violazione dei diritti umani e piu' precisamente dell'atto di terrorismo internazionale piu' grave della storia, doppiando i morti delle delle Twin Towers.
Non sono solita spingere al boicottaggio, uno boicotta quello che vuole e perche' lo sente o, diciamocelo, perche' fa moda. Pero' Chiquita, Dal Monte e Dell, che sono le multinazionali presenti nella regione in cui vivo, hanno espropriato i terreni ai campesinos, avvolgono le banane in sacchi azzurri di plastica per farle maturare anzi tempo e contro natura. Qui ad Apartado' sui bancali della frutta le banane non ci sono, le uniche che arrivano sono quelle che queste aziende scartano perche' non adatte al mercato. Le mettono nei costal, i sacchi di yuta dove si mette il caffe' o il riso, e le abbandonano ai lati delle strade. Cosi', come coi cani.
A buon intenditor....
La prima volta che sono andata in Kenya infatti, un padre comboniano che miracolosamente riusci' a varcare i pregiudizi che ho nei confronti della chiesa, mi disse che un saggio masai una volta gli insegno' quanto segue:
"Le risposte alle domande della vita, a quelle che martellano la testa ora che siete in una terra nuova, a voi completamete sconosciuta, non arrivano mai un secondo dopo la loro formulazione. Le risposte a tali domande arrivano quando meno ce lo si aspetta, spesso senza che neppure ce ne accorgiamo". Poi il masai aggiunse: " Non bisogna mai fare l'errore di sottovalutare la saggezza della terra, della storia, del fato".
E' cosi che ieri, mentre ero in una clinica attendendo di fare degli esami, apro la "Chiva di Uruba"; un giornale che per spessore potrebbe essere paragonato al "Resto del Carlino" o all' "Alto Adige". Uno di quei giornali dove il morto e le nuove tendenze in citta' sono sempre in prima pagina, con l'unica differenza che ieri sulla prima pagina dell Chiva c'era il primo piano di un uomo con la guancia perforata da un proiettile.
Ognimodo, mi affretto a cambiare pagina perche' di morti ammazzati proprio non ho voglia di vederne, almeno oggi; ed ecco che trovo la risposta al secondo interrogativo di cui dicevo all'inizio:
"Come possono le piantagioni di banane delle multinazionali contribuire alla lotta al narcotraffico?"
Nel 2007 la Chiquita Brand, principale distributore di banane degli U.S, all'insaputa mia e credo della maggioranza di voi, e' stata multata per 25 milioni di $ dal Dipartimento di Giustizia Americano per aver pagato gruppi paramilitari (AUC) nella regione di Uruba' al fine di "proteggere" gli impiegati delle sue piantagioni.
Fu di fatto dimostrato che dal 1997 al 2004 la Chiquita verso' alle AUC 1,7 milioni di $ per sfollare i contadini e le famiglie residenti nei territori circostanti le piantagioni e far guadagnare cosi' alla multinazionale sempre piu' acri di terra. Al termine di tale operazione, condotta con la solita ortodossia che contraddistingue i gruppi paramilitari colombiani, 173 famiglie sono state irrimediabilmente segnate in maniera fisica, materiale e psicologica.
Nonostante Chiquita si sia dichiarata colpevole e abbia versato la somma richiesta dal Dipartimento di Giustizia Americano, la Fiscalia Colombiana (il corrispondente organo nazionale) ha fatto archiviare il caso per carenza di prove. Sara' una casualita', ma tra gli indagati compare Raul Emilio Hazbur Mendoza, alias Pedro Bonito, un ex capo paramilitare e proprietario bananero che, sempre per casualita', e' anche accusato di concorso in associazione finalizzata al narcotraffico in un altro processo.
Paul Wolf, avvocato di Washington esperto di diritti umani, sta preparando una causa civile contro Chiquita Brand senza precedenti economici, l'obiettivo e' quello di risarcire, almeno economicamente, i familiari delle vittime che di quei 25 milioni di $ non hanno visto neanche mezzo centesimo. Per fare cio' Wolf sta tentando di dimostrare come nonostante le azioni delle AUC siano state svolte in Colombia, gli accordi tra esse e la multinazionale siano stati presi negli U.S. Se questo riuscira' ad essere dimostrato (e Wolf a sopravvivere, aggiungerei), la Chiquita sarebbe colpevole di una violazione dei diritti umani e piu' precisamente dell'atto di terrorismo internazionale piu' grave della storia, doppiando i morti delle delle Twin Towers.
Non sono solita spingere al boicottaggio, uno boicotta quello che vuole e perche' lo sente o, diciamocelo, perche' fa moda. Pero' Chiquita, Dal Monte e Dell, che sono le multinazionali presenti nella regione in cui vivo, hanno espropriato i terreni ai campesinos, avvolgono le banane in sacchi azzurri di plastica per farle maturare anzi tempo e contro natura. Qui ad Apartado' sui bancali della frutta le banane non ci sono, le uniche che arrivano sono quelle che queste aziende scartano perche' non adatte al mercato. Le mettono nei costal, i sacchi di yuta dove si mette il caffe' o il riso, e le abbandonano ai lati delle strade. Cosi', come coi cani.
A buon intenditor....
mercoledì 2 maggio 2012
I Primi Passi
La prima volta che lascio la Comunità è per salire alla prima vereda in ordine di distanza da qui.
Sebbene la visita non sia propriamente di piacere -il villaggio è andato in allarme dopo che la mattina precedente un gruppo di militari ha aggirato il villaggio sbucando dalle foreste circostanti- il sentiero per arrivare a destinazione mi lascia senza fiato.
Immaginate di guadare un fiume sulle cui rive prati battuti da cavalli si alternano ad alberi secolari dai quali scendono liane che per altezza farebbero invidia ai trapezi del Cirque du Soleil. Pensate come vi sentireste nell'appoggiare i vostri piedi urbani sulle punte dei sassi che affiorano dall'acqua, farli scavalcare centinaia di formiche grandi come un unghia che caricano pezzetti di foglia per riparasi dalla pioggia.
Per quanto una parte del cervello sia sempre diretta a ciò che questo verde cela, mi risulta impossibile non fermarmi, spalancare gli occhi più che mi è concesso per immagazzinare lo spettacolo che ho davanti. Il rio che viene imboccato da cascate indisciplinate; le palme, vere, non come quelle dei viali della riviera; le foglie grandi come cuscini, che sembrano dirti: “cullati”. E proprio quando penso di aver raggiunto il nirvana, ecco due senoras ferme sul sentiero che guardano in direzione opposta alla nostra. “Buenas!”, “Buenas” rispondono all'unisono, “Estamos esperando el lorito”. “Il lorito?” penso, “ma che diavolo...”, ed ecco che mentre continuo a camminare sul passillo incontro un pappagallo, del tutto convinto di essere un uomo, che zampetta verso le sue padrone. Meraviglia.
Arrivo alla vereda dopo due ore di risalita del monte contornata da tale paesaggio e quasi mi sono dimenticata quanto successo il giorno precedente; M. no, non l'aveva dimenticato, come potrebbe. M. ha circa 65 anni ma ne dimostra almeno dieci di più. Indossa un cappello che noi definiremmo texano (cosa alquanto noiosa) e una maglietta che ricorda la strage avvenuta alla vereda nel 2000.
L'8 Luglio di quell'anno, in seguito al passaggio perlustrativo di un gruppo di militari dell'esercito, una squadra di paramilitari (paracos in colombiano) ha fatto ingresso nel villaggio, tagliato le linee telefoniche e violentato una religiosa. In seguito, gli stessi paramilitari hanno radunato gli abitanti e in maniera arbitraria e casuale, non avendo ricevuto risposta su chi fosse il leader della comunità, hanno brutalmente ammazzato 6 persone. La motivazione, agli atti del processo che nel 2009 ha visto condannato il Maggiore dell'esercito Soramiento per aver, tra le altre cose, fornito l'elicottero che ha dato via di fuga al capo dei paramilitari responsabili dell'agguato, fu il fatto che nei giorni precedenti alla strage due bambini, trovando in una cacaotera due granate dell'esercito, avevano intelligentemente pensato di spostarle in un'area della finca non frequentata dai membri della comunità.
E' alla luce dei ricordi ancora vivi di quel giorno che M. e gli altri abitanti della vereda hanno tremato alla vista dei militari. Tutti hanno temuto che fosse il preavviso di un altro attacco paramilitare.
I miei occhi, che fino ad un istante prima erano pieni della natura più rigogliosa, ora seguivano M., che sulla schiena porta le foto delle vittime accompagnate da una scritta: “nunca olvidaremos”. Quegli stessi occhi osservavano le orme dei paracos lasciate nel fango, le recinzioni della finca distrutte dall'arroganza, dall'ignoranza, dalla cecità della violenza indottrinata.
Per un'ora sono stata seduta con lui, su una panchina tra gli alberi di cacao e succhiando canna da zucchero, a farmi raccontare di cosa significhi avere 60 anni e non aver mai conosciuto la pace, la libertà di coltivare la propria terra come meglio si decide.
Sono qui da poco ma è già abbastanza per capire che ogni giorno è segnato da dualità laceranti, incomprensibili. Ogni giorno, se da una parte ti senti immerso nel paradiso, dall'altra temi per la vita di chi magari hai appena conosciuto ma già senti vicino, temi per i tuoi compagni in accompagnamento nelle zone più pericolose; banalmente temi per l'animale, di qualsiasi specie esso sia, che attraversa una strada nel punto sbagliato, al momento sbagliato.
Il Diavolo ha il volto di una Pop Star
Quando atterro tra la piantagioni di bananos si è appena conclusa la Cumbre de Las Americas. Obama ed altri leader americani si sono appena complimentati con il Presidente Santos per l'exploit del suo paese sia in termini economici (una crescita del Pil del 5.9%, un miracolo vista l'attuale congiunzione), sia in termini politici. In particolare, si coglie quest'occasione per celebrare l'ottima riuscita del Plan Colombia che nel 1999, attraverso due versioni incongruenti tra loro in termini di piani dichiarati (tutela dei diritti umani e lotta al narcotraffico) e obiettivi reali (abbattimento guerilla ed aumento investimenti internazionali diretti), attirava finanziamenti di Stati Uniti (1600 mln di $ annui) e U.E (900 mln di $) per salvare il paese dal fallimento.
Osservando questo mare di alberi così uguali, così perfettamente allineati, che poco hanno a che vedere con l'indisciplinata selva che copre le alture circostanti, ai miei occhi emergono in maniera lampante i nessi indiretti che sottostanno al fatto che gli U.S per ogni 1000$ investiti ne abbiano in maniera preventiva indirizzati 700 alle spese militari.
Capire in che modo finanziare gli eserciti aiuti la promozione e la tutela dei diritti umani è già di per sè complesso, ma comprendere come le piantagioni di bananos delle multinazionali contribuiscano alla lotta al narcotraffico è davvero qualcosa che mi sfugge.
Alla luce di queste banali considerazioni l'arrivo alla Comunità mi lascia ancora più attonita. Da una parte i quotidiani che, parafrasando Andy Wharoll, celebrano i risultati politico-economici titolano “Il quarto d'ora della Colombia”; dall'altra, un villaggio accarezzato dal rio, dove le macchine non esistono e i cavalli, così come i maiali, i cani, i gatti e le galline, circolano liberamente fuori dall'uscio di casa. Qui, dove i fiori raggiungo cromature impensate e le persone vivono fianco a fianco, entrandoti in casa per una tazza di tinto o una partita di domino, così, solo per passare il tempo, per non pensare.
Già, non pensare. Perchè dietro questo luogo paradisiaco si cela una delle guerre civili più lunghe di sempre. Perchè tra queste foreste imponenti meravigliose si nascondono paramilitari e guerrillieri. Perchè qui, gli elicotteri dell'esercito rompono il cinguettio degli uccelli e te li senti sulla testa, mentre gli spari possono essere solo coperti dal rumore della pioggia.
Qui, dove l'ultimo omicidio di un civile ad opera dei paramilitari è stato l'11 aprile di quest'anno, quando un commerciante è stato freddato da un uomo incappucciato alle sette di sera davanti all'uscio di casa. E poco importa se successivamente chi l'aveva accusato di essere un collaboratore della guerrilla ha ritrattato, dicendo di aver ricevuto del denaro per accusarlo; quel morto, come tanti altri, servono alla Colombia, o meglio ai suoi baroni, per vivere l'ambito quarto d'ora di celebrità, per dire a noi che la guerrilla sta per essere sconfitta e con essa il narcotraffico.
Seduti fuori casa, una bambina mi guarda mentre mangia il gelato. Ha il fare tipico di quei bambini che nella vita ne hanno viste di ogni; quell'arroganza che un po' ti fa ridere, un po' fa paura. Si parla dei duende, i folletti maligni che vivono nelle foreste qui attorno. Le chiedo di spiegarmi meglio chi sono, cosa rappresentano, lei mi dice che quando il mondo finirà i buoni saliranno in cielo mentre i duende usciranno dalla foresta ed occuperanno iò che resta della terra.
Poi si ferma, mette su l'espressione di chi ha trovato la giusta chiave di lettura e mi dice: “Tipo hai presente Shakira? Ecco lei è un duende, lei è la figlia del diavolo”.
Iscriviti a:
Post (Atom)