Quando atterro tra la piantagioni di bananos si è appena conclusa la Cumbre de Las Americas. Obama ed altri leader americani si sono appena complimentati con il Presidente Santos per l'exploit del suo paese sia in termini economici (una crescita del Pil del 5.9%, un miracolo vista l'attuale congiunzione), sia in termini politici. In particolare, si coglie quest'occasione per celebrare l'ottima riuscita del Plan Colombia che nel 1999, attraverso due versioni incongruenti tra loro in termini di piani dichiarati (tutela dei diritti umani e lotta al narcotraffico) e obiettivi reali (abbattimento guerilla ed aumento investimenti internazionali diretti), attirava finanziamenti di Stati Uniti (1600 mln di $ annui) e U.E (900 mln di $) per salvare il paese dal fallimento.
Osservando questo mare di alberi così uguali, così perfettamente allineati, che poco hanno a che vedere con l'indisciplinata selva che copre le alture circostanti, ai miei occhi emergono in maniera lampante i nessi indiretti che sottostanno al fatto che gli U.S per ogni 1000$ investiti ne abbiano in maniera preventiva indirizzati 700 alle spese militari.
Capire in che modo finanziare gli eserciti aiuti la promozione e la tutela dei diritti umani è già di per sè complesso, ma comprendere come le piantagioni di bananos delle multinazionali contribuiscano alla lotta al narcotraffico è davvero qualcosa che mi sfugge.
Alla luce di queste banali considerazioni l'arrivo alla Comunità mi lascia ancora più attonita. Da una parte i quotidiani che, parafrasando Andy Wharoll, celebrano i risultati politico-economici titolano “Il quarto d'ora della Colombia”; dall'altra, un villaggio accarezzato dal rio, dove le macchine non esistono e i cavalli, così come i maiali, i cani, i gatti e le galline, circolano liberamente fuori dall'uscio di casa. Qui, dove i fiori raggiungo cromature impensate e le persone vivono fianco a fianco, entrandoti in casa per una tazza di tinto o una partita di domino, così, solo per passare il tempo, per non pensare.
Già, non pensare. Perchè dietro questo luogo paradisiaco si cela una delle guerre civili più lunghe di sempre. Perchè tra queste foreste imponenti meravigliose si nascondono paramilitari e guerrillieri. Perchè qui, gli elicotteri dell'esercito rompono il cinguettio degli uccelli e te li senti sulla testa, mentre gli spari possono essere solo coperti dal rumore della pioggia.
Qui, dove l'ultimo omicidio di un civile ad opera dei paramilitari è stato l'11 aprile di quest'anno, quando un commerciante è stato freddato da un uomo incappucciato alle sette di sera davanti all'uscio di casa. E poco importa se successivamente chi l'aveva accusato di essere un collaboratore della guerrilla ha ritrattato, dicendo di aver ricevuto del denaro per accusarlo; quel morto, come tanti altri, servono alla Colombia, o meglio ai suoi baroni, per vivere l'ambito quarto d'ora di celebrità, per dire a noi che la guerrilla sta per essere sconfitta e con essa il narcotraffico.
Seduti fuori casa, una bambina mi guarda mentre mangia il gelato. Ha il fare tipico di quei bambini che nella vita ne hanno viste di ogni; quell'arroganza che un po' ti fa ridere, un po' fa paura. Si parla dei duende, i folletti maligni che vivono nelle foreste qui attorno. Le chiedo di spiegarmi meglio chi sono, cosa rappresentano, lei mi dice che quando il mondo finirà i buoni saliranno in cielo mentre i duende usciranno dalla foresta ed occuperanno iò che resta della terra.
Poi si ferma, mette su l'espressione di chi ha trovato la giusta chiave di lettura e mi dice: “Tipo hai presente Shakira? Ecco lei è un duende, lei è la figlia del diavolo”.
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