Non credevo che il mio corpo potesse sudare
così tanto; che per sette ore di cammino sotto un sole da 35 gradi mi
bastassero un litro d'acqua, due caramelline alla frutta, una barretta di
cioccolato e un piccolo panino al prosciutto e formaggio. Non pensavo che sarei
stata in grado di cavalcare una mula per i sentieri della selva; a dire la
verità, per diversi momenti, non credevo, non ponderavo: ero sicura che non ne
sarei uscita viva.
L'ultima volta che ho scritto dicevo che non
potevo immaginarmi cosa significasse attraversare a piedi certe zone: confermo.
Sei lì per il sentiero, che in alcuni tratti la pioggia ed il fango hanno reso
invisibile, e di fatto metti un piede dietro a quell'altro in maniera
automatica, stando attenta a non rimanere cementata nel pantano, chiedendoti se
quella deviazione arbitraria di mezzo metro ti farà saltare in aria come
coriandoli a carnevale.
Alla guerrilla, ai paracos, in quei momenti
non ci pensi. Almeno io. Certo stai in guardia, ma non è la tensione che hai in
un accompagnamento in città, quando sai che la persona che stai scortando può
essere ammazzata da una qualsiasi delle decine che ti camminano attorno. Sei
solo in mezzo alla jungla. Personalmente pensavo: “Che si fottano. Se sono
piazzati da qualche parte per un'imboscata non sarà certo il mio radar e la mia
faccia sconvolta dalla fatica a fermarli”.
Quando le parti di salita terminavano e
cessavo di maledire il mio tabagismo, ne approfittavo per guardarmi attorno.
Parliamoci chiaro: quante volte capita ad una persona della mia realtà di
attraversare parti di selva colombiana a piedi? In questo sono bambina forse,
ma adoro farmi lavare gli occhi e l'umore dal contesto che mi circonda;
soprattutto quando questi occhi e questo umore sono incupiti perché le persone
che sono con me sono il mio opposto. Non sembrano stupirsi, non hanno voglia di
raccontare, di farsi raccontare.
Perciò quando la noia mi pervadeva, io mi
perdevo nella natura, nell'immaginazione che risveglia e le associazioni
mentali che crea. Osservavo le foglie mangiate dagli insetti, che sembravano
quegli orribili centrini che le nonne si ostinano a mettere sui vassoi da caffè
senza capire che i vassoi da caffè servono per rovesciare il caffè senza
sentirsi in colpa; mi facevo stupire dalle liane, che porca miseria esistono
davvero ma non sono marroni e lisce come nei cartoni, bensì rosacee e spugnose
come quei separè anni settanta all'ingresso dei macellai, solo quattro volte
più grosse. Mi stranivo nel notare la similitudine tra il frinire di alcune cicale
enormi e il rumore delle segatrici nelle falegnamerie, o quello in garage a
Pellizzano, quando i fratelli P. si mettevano in testa di costruire mensole e
mobili immancabilmente sbagliati di misura.
Infine, quando i miei pensieri maligni
diventavano troppo maligni (cosa al quanto probabile nel momento in cui sei una
ciacolona e per 7 ore le due persone che sono con te non proferiscono parola e
non ridono a mezza battuta), e la fantasia sembrava essere esaurita come le mie
ghiandole sudorifere, immaginavo che due avocados giganti cadessero dagli
alberi e colpissero tutti in testa
rincoglionendoli temporaneamente dandomi la possibilità di fare cio' per cui
sono nata: cabaret. Tipo mettermi in
mutande e reggiseno, far partire la musica e parodiare il video di “Waiting for
tonight” di Jennifer Lopez.
Avevo pensato tutto (di tempo ce ne era): Nando, il
ragazzo colombiano che era con noi, come primo ballerino sporco di fango;
guerrilla e paramilitari che subentrano al primo ritornello come corpo di ballo
e che nel momento clou fanno partire qualche granata, tanto per darla in barba
al laser verde del video originale*.
Ed è così che mentre mi immaginavo di essere
J.Lo e mi chiedevo perchè dovevo essere io quella che nelle ultime tre ore era
stata dietro alla mula petomane, siamo arrivati alla vereda.
In un istante l'idea di proporre una
sceneggiatura a Ben Stiller è stata scalzata dalla realtà. La gente era riunita
attorno alla cancha per una partita di
calcio. La capa si gira: “Ragazzi state in occhio. Guardate bene se e quanta
gente è armata. Non sarebbe la prima volta che la guerrilla scende per la
partita del sabato”.
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