sabato 26 maggio 2012

Senza Parole Adatte


Questi sono stati senza dubbio i sei giorni più pesanti fino ad ora. Non sono stati difficili per via dell'isolamento, delle condizioni di vita o peggio ancora per i problemi che si possono essere verificati a causa del contesto dove mi trovo. A parte la consapevolezza di essere circondati dai paramilitari e qualche incontro con dei cocaleros si può dire che è stato un presidio tranquillo, fatto più che altro di condivisione della vita campesina. Le giornate sono scorse sgranando mais, andando al fiume con loro a pescare, pilando il riso, cucinando arepas.
Quello che è stato pesante è stato tacere, accettare i comportamenti altrui. Mi è costato ingoiare la cattiveria e la scontrosità dell'uomo verso l'altro uomo, dell'uomo verso l'animale.
Siamo tendenzialmente tutti abituati a stare in ambienti dove coloro che ci circondano vivono per paradigmi; scegliamo i compagni di vita in base ai loro codici comportamentali e la nostra attitudine a tollerarne i difetti. In un certo senso siamo viziati. Perciò a tratti mi ha fatto davvero stare male arrivare alla conclusione che forse io non sono fatta per questo tipo di organizzazione.
Io non so tacere. Non sono fatta per la non ingerenza, baluardo dei corpi di pace come questo. Devo agire, parlare, muovermi, capire. Banalmente devo poter avere la libertà di dire: “con il dovuto rispetto, che cazzo stai dicendo”.
In questi giorni ho taciuto, schiacciato con la bocca serrata le mie idee; l'ho fatto per considerazione rispetto al contesto e alla mia posizione di ignoranza; l'ho fatto per il quieto vivere di chi lavora con me. So che pare tutto un controsenso detto così ma mi risulta complesso spiegare a parole quanto sia difficile quando si cresce un po' e si inizia ad avere le proprie idee ed i propri modi, rinunciarvi per rassegnazione. E' frustrante.
Mi è mancato mio padre, uno stronzo di prima categoria, pessimo in praticamente tutto, ma che involontariamente mi ha insegnato a non chiudere la bocca, mai, se dovevo difendere un'idea. 
Egoisticamente quello che mi sarebbe servitoi sarebbe stato essere un po' più stronza; un po' più quindicenne e un po' meno adulta, in maniera tale da rispondere impulsivamente e a tono ad alcune persone, campesinos o italiani che siano, che in questi giorni mi hanno fatto venire il patema d'animo.

Ad un'ora indefinita della notte sono stesa nell'amaca. Tra i panni appesi per le travi del porticato osservo le stelle che abbassando lo sguardo si diradano e si trasformano in lucciole. La linea di separazione tra cielo e terra è un sottile tratto che sfuma il blu in nero e accarezza le curve delle alture che mi circondano. Le mucche bianche raccolgono le luci della notte e le riflettono sui fili d'erba ai loro piedi. So che sono sola e per una volta i miei occhi non hanno voglia di essere lavati dal contesto. Lo spettacolo che ho davanti è troppo bello per essere vissuto senza qualcuno accanto, ed io, io stasera sono troppo malinconica e non voglio cedere alla tentazione di rovinare una meraviglia del genere con un sentimento così razionale, così immanente come la coscienza della solitudine.
Cerco un diversivo, apro Bukowki e faccio dondolare l'amaca.

“Ho conosciuto troppi intellettuali di recente, mi annoiano a morte quegli intelletti preziosi che devono dir diamanti ogni volta che aprono bocca. M'annoio a dover lottare per ogni alito di vento che faccia respirare la mente. Ecco perchè mi son tenuto lontano dalla gente per così tanto tempo. E adesso che vado in società, scopro che devo tornare nella mia caverna. Ci sono altre cose oltre alla mente: gli insetti, i palmizi, i macinini di pepe, e io terrò un macinino di pepe nella mia caverna. Così,  allegria.”

“Ma c'è un vecchio proverbio (metto insieme vecchi proverbi mentre me ne vado in giro stacciato) secondo cui la conoscenza che non viene seguita dall'azione è peggio dell'ignoranza. Perchè se tiri ad indovinare e non ci prendi puoi sempre dire, merda gli dei mi sono avversi. Ma se sai e non fai niente vuol dire che in testa hai soffitte e anticamere buie da percorre avanti e indietro e a cui pensare. Non è mica una cosa sana, produce serate noiose, un eccesso d'alcool e seghe.”

“(...)ci incastrano, ci bastonano e ci fanno a pezzetti fino al rincoglionimento totale; siamo rincoglioniti al punto che qualcuno finisce per amare i suoi aguzzini perchè questi ci torturano con metodi che sono assolutamente logici. E' ragionevole dato che in vista non c'è niente di diverso. Dev'essere così visto che non esiste nient'altro. (…) e per qualche ragione siamo noi a lasciarceli. Simo noi che costruiamo i nostri stessi steccati e poi urliamo quando ci lasciamo strappare i genitali dal guardiano subnormanle che agita la gran croce d'argento (d'oro non c'è più).”

“Camminavo per una strada di cui non conoscevo il nome. Non sapevo che direzione prendere. Il brutto era che qualche cosa non quadrava. E non riuscivo a capire che cosa. L'avevo fissa in testa come una bibbia. Che stronzata senza senso. Che modo di finire al tappeto. Niente mappa. Niente gente. Niente rumori, solo vespai, pietre, muri, vento. Il cazzo e le palle che ciondolavano senza emozioni. Avrei potuto gridare per strada qualsiasi cosa senza che nessuno mi sentisse, senza che nessuno alzasse un dito. Non si può dire che avrebbero dovuto. Non chiedevo amore. Ma c'era qualcosa di molto strano. I libri non ne avevano mai parlato, i genitori non ne avevano mai parlato, i ragni invece sì. Vaffanculo.”

(da Taccuino di un Vecchio Sporcaccione, Charles Bukowski)

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