Questi sono stati senza dubbio i sei giorni
più pesanti fino ad ora. Non sono stati difficili per via dell'isolamento,
delle condizioni di vita o peggio ancora per i problemi che si possono essere
verificati a causa del contesto dove mi trovo. A parte la consapevolezza di
essere circondati dai paramilitari e qualche incontro con dei cocaleros si può
dire che è stato un presidio tranquillo, fatto più che altro di condivisione
della vita campesina. Le giornate sono scorse sgranando mais, andando al fiume
con loro a pescare, pilando il riso, cucinando arepas.
Quello che è stato pesante è stato tacere,
accettare i comportamenti altrui. Mi è costato ingoiare la cattiveria e la
scontrosità dell'uomo verso l'altro uomo, dell'uomo verso l'animale.
Siamo tendenzialmente tutti abituati a stare
in ambienti dove coloro che ci circondano vivono per paradigmi; scegliamo i
compagni di vita in base ai loro codici comportamentali e la nostra attitudine
a tollerarne i difetti. In un certo senso siamo viziati. Perciò a tratti mi ha
fatto davvero stare male arrivare alla conclusione che forse io non sono fatta
per questo tipo di organizzazione.
Io non so tacere. Non sono fatta per la non
ingerenza, baluardo dei corpi di pace come questo. Devo agire, parlare,
muovermi, capire. Banalmente devo poter avere la libertà di dire: “con il
dovuto rispetto, che cazzo stai dicendo”.
In questi giorni ho taciuto, schiacciato con
la bocca serrata le mie idee; l'ho fatto per considerazione rispetto al
contesto e alla mia posizione di ignoranza; l'ho fatto per il quieto vivere di
chi lavora con me. So che pare tutto un controsenso detto così ma mi risulta complesso spiegare a parole quanto sia difficile quando si cresce un po' e si
inizia ad avere le proprie idee ed i propri modi, rinunciarvi per
rassegnazione. E' frustrante.
Mi è mancato mio padre, uno stronzo di prima
categoria, pessimo in praticamente tutto, ma che involontariamente mi ha
insegnato a non chiudere la bocca, mai, se dovevo difendere un'idea.
Egoisticamente quello che mi sarebbe servitoi sarebbe stato
essere un po' più stronza; un po' più quindicenne e un po' meno adulta, in
maniera tale da rispondere impulsivamente e a tono ad alcune persone,
campesinos o italiani che siano, che in questi giorni mi hanno fatto venire il
patema d'animo.
Ad un'ora indefinita della notte sono stesa
nell'amaca. Tra i panni appesi per le travi del porticato osservo le stelle che
abbassando lo sguardo si diradano e si trasformano in lucciole. La linea di
separazione tra cielo e terra è un sottile tratto che sfuma il blu in nero e
accarezza le curve delle alture che mi circondano. Le mucche bianche raccolgono
le luci della notte e le riflettono sui fili d'erba ai loro piedi. So che sono
sola e per una volta i miei occhi non hanno voglia di essere lavati dal
contesto. Lo spettacolo che ho davanti è troppo bello per essere vissuto senza
qualcuno accanto, ed io, io stasera sono troppo malinconica e non voglio cedere alla
tentazione di rovinare una meraviglia del genere con un sentimento così razionale,
così immanente come la coscienza della solitudine.
Cerco un diversivo, apro Bukowki e faccio
dondolare l'amaca.
“Ho conosciuto troppi intellettuali di
recente, mi annoiano a morte quegli intelletti preziosi che devono dir diamanti
ogni volta che aprono bocca. M'annoio a dover lottare per ogni alito di vento
che faccia respirare la mente. Ecco perchè mi son tenuto lontano dalla gente
per così tanto tempo. E adesso che vado in società, scopro che devo tornare
nella mia caverna. Ci sono altre cose oltre alla mente: gli insetti, i palmizi,
i macinini di pepe, e io terrò un macinino di pepe nella mia caverna.
Così, allegria.”
“Ma c'è un vecchio proverbio (metto insieme
vecchi proverbi mentre me ne vado in giro stacciato) secondo cui la conoscenza
che non viene seguita dall'azione è peggio dell'ignoranza. Perchè se tiri ad
indovinare e non ci prendi puoi sempre dire, merda gli dei mi sono avversi. Ma
se sai e non fai niente vuol dire che in testa hai soffitte e anticamere buie
da percorre avanti e indietro e a cui pensare. Non è mica una cosa sana,
produce serate noiose, un eccesso d'alcool e seghe.”
“(...)ci incastrano, ci bastonano e ci
fanno a pezzetti fino al rincoglionimento totale; siamo rincoglioniti al punto
che qualcuno finisce per amare i suoi aguzzini perchè questi ci torturano con
metodi che sono assolutamente logici. E' ragionevole dato che in vista non c'è
niente di diverso. Dev'essere così visto che non esiste nient'altro. (…) e per
qualche ragione siamo noi a lasciarceli. Simo noi che costruiamo i nostri
stessi steccati e poi urliamo quando ci lasciamo strappare i genitali dal
guardiano subnormanle che agita la gran croce d'argento (d'oro non c'è più).”
“Camminavo per una strada di cui non
conoscevo il nome. Non sapevo che direzione prendere. Il brutto era che qualche
cosa non quadrava. E non riuscivo a capire che cosa. L'avevo fissa in testa
come una bibbia. Che stronzata senza senso. Che modo di finire al tappeto.
Niente mappa. Niente gente. Niente rumori, solo vespai, pietre, muri, vento. Il
cazzo e le palle che ciondolavano senza emozioni. Avrei potuto gridare per
strada qualsiasi cosa senza che nessuno mi sentisse, senza che nessuno alzasse
un dito. Non si può dire che avrebbero dovuto. Non chiedevo amore. Ma c'era
qualcosa di molto strano. I libri non ne avevano mai parlato, i genitori non ne
avevano mai parlato, i ragni invece sì. Vaffanculo.”
(da Taccuino di un Vecchio Sporcaccione,
Charles Bukowski)
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